Gianni Riotta su Repubblica confonde questo detto siciliano con una filosofia di vita che spingerebbe i giovani meridionali e cercare altrove la propria realizzazione. Non è così: chi parte lo fa solo per necessità non per ambizione
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Nell’articolo del 10 novembre scorso su Repubblica Palermo, Gianni Riotta ricorda che, secondo un detto popolare, “cu niesci arriniesci” attribuendone l’ispirazione alla filosofia di vita, ovvero alla mentalità, dei siciliani. A mio avviso, non c’era affatto bisogno di scomodare la “mentalità” per spiegare un detto che, casomai, è una pura e semplice constatazione.
Riotta, forse perché un po’ lontano dalla realtà siciliana, non riesce a fare i conti con la potente, gravissima, persistente crisi socio-economica che l’intero Sud Italia conosce ormai da decenni. E, pur citandola, la sottovaluta, dimenticando che la stessa è figlia di una condizione di svantaggio permanente rispetto al centro-nord, diventata gravissima negli ultimi anni. Chi vive in Sicilia, d’altronde, non ha bisogno del rapporto Migrantes per rendersene conto: basta solo che si guardi intorno. Nella propria cerchia familiare troverà ben pochi giovani tra i 20 ed i 30 anni che non hanno già fatto le valigie per andare a lavorare al nord, o all’estero. Ma se 220.000 siciliani lo hanno fatto solo nell’ultimo decennio, è semplicemente perché di lavoro, in Sicilia, non ce n’è. O se c’è, è sottopagato e degradante.
Di fronte a questa evidenza, non si comprende perché il noto giornalista palermitano tiri in ballo, come spiegazione di questa diaspora, la “mentalità rigida e perdente”. Mi chiedo, infatti, dove fosse questa mentalità quando, in un tempo ormai lontano, non si emigrava o, comunque, non lo si faceva con questi numeri. O forse Riotta vuole farci credere di essere diventati “pessimisti e perdenti” negli ultimi anni? In effetti capita, se studi una vita e ti vedi scavalcato dall’amico con la tessera in tasca, o dalle parentele importanti. Ma la raccomandazione ed il familismo sono mali italici, non certo monopoli siculi.
Anche in questi casi, comunque il pessimismo è una conseguenza, non un requisito scolpito nel Dna dei siciliani. I quali, se potessero, rimarrebbero volentieri nella propria terra, e non soltanto per trovare un “posto fisso”: Riotta che conosce benissimo l’Italia dovrebbe infatti sapere che la percentuale di dipendenti pubblici in rapporto alla popolazione è più alta al nord che al sud.
In realtà, i nostri giovani scappano non tanto dall’ economia “protetta, localista, diffidente di innovazione” che secondo Riotta” domina la Sicilia”. Magari! I nostri giovani scappano via perché in Sicilia l’economia, semplicemente, non c’è. Basterebbe farsi un giro per le zone industriali deserte, o per i centri commerciali chiusi per rendersene conto. O guardare, ad esempio, quanti TIR camminano sulle nostre strade.
L’economia in Sicilia c’era, e non era affatto localistica, né diffidente. Ma è stata distrutta da una classe dirigente che, a livello nazionale, non ci ha pensato neanche a cogliere i segni della globalizzazione, anticipandone gli effetti. È per questo che, mentre noi discutevamo se fare o no il Ponte sullo Stretto, altrove si costruivano ponti, porti e ferrovie ad alta velocità, intercettando, od attrezzandosi per farlo, i flussi merci provenienti dal Far East.
Se ci troviamo al centro del Mediterraneo, ma continuiamo a guardare navi stracariche di containers passare a poche miglia dalle nostre coste, senza riuscire a farne approdare nessuna, è forse un problema di mentalità, o dipende dalla cronica assenza di infrastrutture, che non consente lo scarico delle merci per il loro trasferimento al centro dell’Europa? E gli spazi retroportuali, dove si potrebbe sviluppare un’industria a supporto della logistica, magari all’interno di ZES opportunamente finanziate, rimangono vuoti per questo o perché ci riteniamo perdenti?
Di fronte al mondo che si evolve intorno a noi, bisognerebbe essere concreti, e non continuare a darci, da soli, la colpa delle nostre disgrazie. Ed a proposito di Pnrr, chiediamoci perché alle infrastrutture sostenibili siciliane sia stato destinato soltanto l’1% del totale disponibile. Di questi, soltanto un terzo sono effettivamente nuove risorse, gli altri sostituiscono finanziamenti già esistenti: nulla rispetto a quanto sarebbe necessario per raddoppiare o elettrificare le ferrovie siciliane, rimaste ancorate all’800.
E chiediamoci perché nulla sia stato destinato ai porti siciliani, mentre Genova e Trieste possono contare su oltre 1,5 miliardi di investimenti, per diventare i porti di riferimento nazionali, tagliando fuori tutto il meridione.
Colpa della “mentalità” certo, ma non quella dei nostri giovani, vittime di una situazione di fatto, ma quella di una classe dirigente, non soltanto siciliana, che domina l’intero Paese e che Riotta conosce benissimo. Certamente localistica ed incapace di guardare al futuro, convinta di puntare tutto sulla “locomotiva” del nord che dovrebbe trascinare anche l’arretrato sud. Una visione che fa comodo a pochi, superata dai fatti e che, con la locomotiva che già arranca, avrà l’effetto di portare non soltanto la Sicilia, ma tutta l’Italia degli egoismi verso il baratro.