È l’unico professionista che può occuparsi con competenza di rafforzare il tessuto emotivo e sociale tra i banchi, affiancando non solo i ragazzi ma anche insegnanti e genitori nelle questioni complesse legate all'educazione
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«È ritardato, non lo vogliamo». Questo si è sentito dire un bambino cosentino di 8 anni il suo primo giorno di scuola a cui ha fatto seguito la protesta dei genitori degli altri alunni che hanno organizzato un’assenza di massa, istigando i figli ad isolare il nuovo compagno che già aveva dovuto cambiare una precedente classe.
Questo perché è un bambino speciale, con un quoziente intellettivo superiore alla media, capace di parlare due lingue, eseguire calcoli complessi a mente, suonare a orecchio strumenti musicali, ma con un disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività (Adhd): un bisogno educativo speciale (Bes) che, al di là dell’eventuale supporto di un docente di sostegno, richiede anzitutto una ambiente scolastico sereno ed una classe accogliente. Al contrario è stato lasciato solo in classe per un intero giorno.
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Un trauma terribile che questo bambino difficilmente dimenticherà causato dalla incapacità di questi genitori di cercare con gli insegnanti delle soluzioni emotivamente più sane, mature ed umane. Un fatto agghiacciante che sarebbe rimasto nascosto, come tanti purtroppo, se la madre di questo bambino non avesse informato i media e bene ha fatto ad intervenire formalmente il Garante per l’Infanzia, Antonio Marziale, che ha evidenziato come stia diventando sempre più frequente la minaccia del «ritiro dei figli da scuola» da parte di genitori che desiderano garantire ai loro figli una qualche presunta «normalità» o «perfezione».
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Le proposte di una educazione affettiva e relazionale – aggiungo io “umanistico esistenziale” recuperando anche la dimensione della spiritualità – affollano in questi giorni i giornali dopo il terribile femminicidio di Giulia Cecchettin, ma non si capisce chi dovrebbe poi occuparsi di questa “educazione” e in quale modo, col risultato che le riflessioni di importanti professionisti, psicologi e psichiatri, insieme a donne e uomini del mondo della cultura, finiscano come spesso accade nel “libro dei sogni”.
Come psicologo di Cosenza, quindi particolarmente toccato dall’episodio che ha riguardato il piccolo studente cosentino, credo che l’unico professionista che possa occuparsi con competenza di rafforzare il tessuto emotivo e sociale della comunità scolastica, rendendolo così capace di essere un luogo (non solo fisico) accogliente, includente, umanizzante, sia lo psicologo scolastico.
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Credo quindi che non sia più rimandabile la presenza dello psicologo in tutte le scuole, non solo per il supporto agli studenti, ma anche per affiancare il personale docente e le famiglie nell’affrontare questioni complesse legate all’educazione, all’affettività dei ragazzi, supportando l’istituzione scolastica nella creazione di un ambiente in cui il rispetto reciproco sia un principio fondante nella promozione dello sviluppo della personalità dei ragazzi.
In questo senso, guardo con speranza al progetto della Giunta della Regione Calabria di rendere strutturale la figura dello psicologo scolastico, anche allo scopo di prevenire il galoppante fenomeno dell’abbandono scolastico, soprattutto da parte di quegli studenti che vivono disagi specifici e fragilità.
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* psicologo di Cosenza, responsabile Sidef Family Care Calabria