Lo stalking è un tema complesso e doloroso, ma c’è un aspetto di questo fenomeno che rimane spesso nell’ombra: le vittime di sesso maschile. Se ne parla poco, quasi con un certo imbarazzo sociale, forse perché raramente gli episodi raggiungono livelli estremi o patologici simili a quelli delle vittime donne. Oppure, più semplicemente, perché gli uomini tendono a non denunciare. È una reticenza intrisa di pudore, senso di colpa, o persino comprensione verso chi li tormenta. A questo si aggiunge la paura di non essere creduti o presi sul serio dalle autorità, aggravando una situazione di isolamento emotivo già insostenibile.

Eppure, lo stalking non è un fenomeno esclusivamente maschile. Anche le donne possono essere autrici di persecuzioni ossessive, e quando accade, le dinamiche si intrecciano a motivazioni diverse: gelosia, vendetta, disperato desiderio di controllo o bisogno di ristabilire un legame spezzato. Le vittime, in questi casi, possono essere uomini, altre donne (specialmente in contesti di rivalità), o persone che la stalker percepisce come emotivamente significative. Sebbene i numeri ci dicano che gli uomini rappresentano una minoranza delle vittime (con un rapporto stimato di 2 a 8), questo non significa che il loro dolore sia meno reale o che le conseguenze siano meno devastanti.

Spesso, gli uomini vittime di stalking si aggrappano alla speranza che “prima o poi passerà”. Ma questa è un’illusione pericolosa, perché le persone che perseguitano – sia uomini che donne – sono spesso animate da una dipendenza patologica nei confronti della vittima, che diventa il centro ossessivo delle loro vite. E quando la vittima tenta di sottrarsi, l’ossessione si intensifica, trascinando nel vortice di minacce e molestie anche le persone care.

I comportamenti persecutori si manifestano in mille modi: si parte dalle telefonate insistenti e dai messaggi ossessivi, per poi passare al pedinamento, all’intrusione nei contesti sociali della vittima – sia reali che virtuali – fino a trasformare ogni suo movimento in un campo di controllo e dominio. La stalker cerca continuamente informazioni sulla sua preda, desiderando ardentemente sentirsi parte della sua vita. Nei casi più estremi, l’ossessione sfocia in azioni dannose, lettere anonime intrise di calunnie, tentativi di denigrazione professionale, interferenze in cotesti pubblici, dove il persecutore immagina, nella sua mente disturbata, di poter ottenere attenzione o amore proprio infliggendo sofferenza.

Chi non ha mai vissuto questa realtà potrebbe trovare tutto questo esasperato, quasi cinematografico. Eppure, è la vita vera a raccontare le storie più crude. È proprio per questo che opere come Baby Reindeer sono tanto preziose. Questa miniserie Netflix del 2024, ispirata a un caso reale, getta luce sulla realtà dello stalking maschile con una narrazione tanto cruda quanto necessaria. È un racconto potente, capace di scuotere, ma anche di educare. Guardarla non è solo un esercizio di empatia verso le vittime, ma un’occasione per comprendere a fondo la gravità di questo fenomeno: come nasce, come si evolve, come riconoscerlo e come difendersi.

Perché la verità è che lo stalking è un problema che tocca tutti, indipendentemente dal genere. E l’unica risposta possibile è parlarne, riconoscerlo e affrontarlo insieme, per dare forza alle vittime e spezzare il silenzio che troppo spesso circonda le loro sofferenze.