L’esponente di Italia del Meridione sul gap della nostra regione rispetto alle altre realtà del paese: «Non si può pensare allo sviluppo dei borghi, come destinazione turistica, senza prima averli resi ospitali»
Tutti gli articoli di Note stampa
PHOTO
Milano ha ospitato nei giorni scorsi la presentazione della nuova edizione del ‘Rapporto sul mercato immobiliare alberghiero’, in occasione dell’Hospitality Forum 2022, a cura di Scenari Immobiliari in collaborazione con Castello Sgr. Ne dà conferma Orlandino Greco, esponente Italia del Meridione che in una nota stampa spiega: «I dati emersi sono più che positivi, infatti, la crisi post pandemica e la situazione geopolitica, con la guerra in atto, non ha frenato la crescita del turismo, che ha avuto come riflesso un aumento degli investimenti immobiliari mondiali, sfiorando i 70 miliardi di euro, più del doppio rispetto al 2020. A livello europeo il mercato immobiliare alberghiero ha chiuso il 2021 con un fatturato di 21,2 miliardi di euro ed è previsto un ulteriore incremento fino a 26,6 miliardi per il 2022; per quanto riguarda l’Italia, questo segmento ha avuto nel 2021 un fatturato di 2,5 miliardi di euro e anche per il nostro Paese è previsto un aumento fino a 3,1 miliardi per il 2022.
Anche se ancora l’Italia soffre di un gap enorme con il resto del mondo, avendo un patrimonio immobiliare frazionato, dispersivo, con gestioni ancora familiari e fortemente limitato nell’offerta dei servizi business, tagliando fuori così quella fetta dei grandi operatori internazionali che si muovono all’interno di un mercato sempre più alto e di nicchia. E se ci addentriamo, ancora di più, nei dati emerge, inoltre, che: gli investimenti maggiori si sono concentrati negli hotel 5 stelle e cinque stelle lusso delle prime 4 grandi città: Milano, Roma, Firenze, Venezia. Mentre, Sicilia, Sardegna e Puglia, attirano gli investitori che guardano con interesse i resort al mare. Quello che salta agli occhi è, quindi, che il patrimonio alberghiero italiano si trova il 54% al Nord, il 26% al centro e solo il 20% al Sud».
A giudizio di Greco: «Questo chiama in causa diversi fattori sui quali è necessario riflettere e aprire un vero e proprio dibattito. L’incentivazione degli investimenti al Sud e in particolare modo nella nostra regione, parte da un fattore primario: manca da sempre il ‘prodotto Calabria’ con servizi non adeguati alla bellezza del nostro patrimonio artistico storico e ambientale. Al di là di qualche impavido imprenditore che ha investito nel settore, rimane quel dato negativo: non esiste ancora una chiara determinazione nel costruire una ‘destinazione’ turistica moderna, di qualità e che parta da una riconversione strutturale dell’esistente, unita ad una rigenerazione urbana, sorretta da strumenti urbanistici moderni con previsioni urbanistiche chiare, necessarie a quel mondo dell’imprenditoria immobiliare e turistica che ha bisogno di misure certe. Definire una ‘destinazione’ turistica significa attrarre investitori, che si muovono attraverso un ‘prodotto turistico’ legato al contesto tradizionale ma con prospettive innovative e moderne. Ad esempio, in Puglia si è puntato sulle masserie o trulli che richiamano sempre di più un turismo straniero e di nicchia, desideroso di vivere momenti legati alla storia e alla tradizione, ma capace di garantire servizi tali da essere sempre connessi con il mondo».
Per l’esponente Idm: «Il rispetto del patrimonio esistente si muove con l’attuazione di un piano urbanistico che sappia tenerne conto e sfruttarne le potenzialità. Dalle città d’arte ai piccoli borghi la pianificazione organica dello sviluppo del territorio devono convergere in una strutturazione generale che migliori e renda attrattivo il contesto urbano ed extraurbano.
Un problema questo che ancora pesa in quasi tutti i comuni, dai più piccoli alle città più grandi, della Calabria. Basti pensare che il 90% dei comuni non ha adeguato gli strumenti urbanistici, fermi ai vecchi e datati Piani Regolatori, che di certo non hanno tenuto in considerazione uno sviluppo integrato con prospettive a lungo raggio e che si sono, nella maggior parte dei casi, basati su una cementificazione selvaggia che ha deturpato il patrimonio e che, oggi, non risponde più alle richieste di un mercato turistico, che cerca altro.
Non si può pensare allo sviluppo dei borghi, come ‘destinazione turistica’, senza prima averlo reso ‘ospitale’, attraverso un piano d’attuazione del decoro urbano e quindi dell’offerta dei servizi, incentivando e sostenendo, dopo un’accurata analisi delle potenzialità e dei patrimoni da rispettare, la parte privata che ha interesse ad investire in quel luogo. È necessario, quindi, un cambio di rotta radicale anche sotto questo aspetto, la Calabria non più più permettersi di non rispondere alle misure dei piani di sviluppo territoriali e comunali, prestando attenzione al settore turistico. Laddove i comuni non sono in grado di adeguarsi, alle previsioni normative, ovvero di dotarsi di strumenti urbanistici moderni approvando i Piani strutturali comunali è opportuno che le Regioni assumano delle azioni coraggiose, come ad esempio, commissariarli. Anche i contributi in conto capitale per i comuni a vocazione turistica devono tenere conto della capacità reale che il pubblico ha nell’accoglienza turistica. È assurdo finanziare interventi turistici a 5 stelle in quei comuni dove la cura del verde è un optional e dove la raccolta dei rifiuti non trova adeguata risposta. Scelte rivoluzionarie che metterebbero tutti i livelli della politica di fronte alle proprie responsabilità dando così ai cittadini lo strumento di valutazione del loro operato».