Santo Biondo*
C’è un pericolo nascosto dietro la richiesta di maggiore autonomia da parte di alcune regioni del Nord Italia. Il rischio, che potrebbe concretizzarsi dopo il prossimo 15 di febbraio, è quello di far ripiombare il Paese, in un passato diseguale in cui attraverso le gabbie salariali, lavoratori che svolgevano la stessa attività, pur vivendo all’interno degli stessi confini nazionali, ricevano salari differenti a seconda della loro collocazione geografica. Quella fase storica superata dagli eventi mossi dai sentimenti di unità nazionale, oggi attraverso il regionalismo differenziato, potrebbe riproporsi, realizzando nel mezzogiorno le gabbie dei diritti sociali, civili e di cittadinanza.

 

Pericolo che bisognerebbe evitare, anche se non soprattutto in considerazione del momento di grande difficoltà che il Paese sta attraversando, inquinato da sentimenti di intolleranza, che in riferimento ad alcuni argomenti, sfociano addirittura in fenomeni inaccettabili di razzismo e xenofobia.
La lunga fase di crisi economica che la nostra società sta vivendo ha accentuato certamente l’individualismo. Tuttavia compito della politica di governo e di opposizione è quello di lavorare, almeno su alcuni temi, insieme per ricostruire attraverso atti politici e legislativi, quel sentimento di unità nazionale che, con il passare del tempo, si è affievolito. Tutto l’arco politico ha il dovere di ricostruire uno spirito di solidarietà nazionale.
Ed è veramente sorprendente annotare come può un governo nazionale che si dichiara a favore dei più deboli e impegnato a combattere la povertà, approvare un provvedimento, che in un ambito come quello dei servizi essenziali, estremamente sensibile per le fasce più povere della popolazione, sostanzialmente dice alle regione: chi ha di più avrà sempre di più e chi a di meno avrà sempre meno.


E sotto questo aspetto è innegabile che questo provvedimento, basato sulla legittima richiesta di autonomia da parte di tre delle più ricche regioni del Paese, penalizza i territori più poveri, nel momento in cui la quantità e la qualità dei servizi in settori quale quelli della sanità, dei trasporti, della scuola, delle politiche sociali, che sono il fondamento del forte legame fra le varie anime della nazione dipenderanno per legge dal gettito fiscale di ciascun territorio.
È così per le regioni del Sud, per la Calabria in particolare, al danno del minore sviluppo si aggiungerà anche la beffa di vedersi ridurre i diritti di cittadinanza già precari, per via delle minori entrate fiscale dovute agli alti tassi di disoccupazione e alla fragilità del tessuto produttivo. Una prospettiva inaccettabile, come quella che, negli anni 60/70, divise il mondo del lavoro in lavoratori di serie A e di serie B, che finirebbe per allargare il solco fra la parte ricca e quella meno ricca del Paese.
Quella strada è stata già percorsa e non ha prodotto risultati positivi, ma solo una disuguaglianza fra i lavoratori e, soprattutto per questo, venne accantonata e superata.

 

La proposta di riforma in discussione finirà per incidere in profondità sul tessuto sociale del Mezzogiorno e in particolare della Calabria. In questa regione sono grandi le sofferenze che si registrano, fra gli altri, nei comparti della sanità - dove assai alto è l’indice di emigrazione sanitaria e troppo basso quello dei livelli essenziali di assistenza - delle politiche sociali, del sostegno all’infanzia o all’autosufficienza.
Tutti ambiti fondamentali per i cittadini e la qualità della vita. Questi settori, che segnano la differenza profonda esistente fra la Calabria e il resto del Paese dovrebbero far comprendere al governo e alla politica in generale che non è questo il momento di promuovere nel Paese altri argomenti di divisione.

 

Basterebbe sottolineare le diseguaglianze ormai note a svantaggio del Sud del Paese per quanto riguarda i livelli essenziali di assistenza, in questi settori importanti nella vita sociale dei cittadini, per far capire ai molti che lo sforzo, oggi, da mettere in campo, è quello di finanziare un piano straordinario per ridurre le distanze siderali tra le due aree del Paese, piuttosto che agire per differenziarle ulteriormente. Anche la stessa Costituzione sancisce che prima di avviare una legittima discussione sul regionalismo differenziato bisogna garantire, livelli adeguati di assistenza su tutto il territorio nazionale. E in questa direzione la strada da percorrere è ancora molta e in salita.

 

Al punto in cui siamo diviene importante che da qui al 15 febbraio e anche dopo si accenda una discussione nel Paese che provenga dagli ambienti dell’Università, della scuola, del giornalismo, della società civile. Un confronto che sia utile a far riflettere il Parlamento sull’opportunità di adottare maggior buonsenso rispetto a questa, ripetiamo, legittima richiesta di autonomia da parte di alcune regioni che, però, certamente non aiuta la nazione in questa fase delicata.
Siamo convinti che il Paese possa uscire dalla crisi solo se è in grado di mantenere quell’unità sancita in Costituzione che è costata un enorme sacrificio al popolo italiano.


Pertanto va salutata positivamente la presa di posizione del Consiglio regionale calabrese che ha diffidato il Governo dall’andare avanti su questa azione dal sapore secessionista. Ma va anche detto che la situazione di ritardo che vive il Sud e in modo particolare la Calabria, non è una condizione naturale, di cui è anche responsabile la classe politica meridionale e calabrese che ha amministrato in questi anni e amministra oggi il territorio, va affrontata con urgenza da parte della politica locale. Non si migliorano le condizioni del Sud e della Calabria scaricando le responsabilità dei ritardi del meridione ad altri. E sotto questo aspetto i calabresi avrebbero gradito che in questa legislatura ormai conclusa, la stessa convergenza politica trovata in Consiglio regionale sul regionalismo differenziarlo, il consesso l’avesse raggiunta in questi anni anche sulle altre questioni di uguale importanza per il rilancio della Calabria e la vita dei calabresi.

 

Ad esempio sarebbe stato importante ricercare e trovare la stessa unità di intenti sulla riforma della partecipazione pubblica in Calabria, a partire da Sorical: una società all’interno della quale il clima venutosi a creare ultimamente sta complicando la possibilità di un rilancio dell’azienda.
Cosi come sulla vicenda Gioia Tauro, è inspiegabile il fatto che il Consiglio regionale della Calabria, rispetto a ciò che si sta verificando nella Piana, davanti ad un’azienda che sta mortificando il territorio ed i lavoratori, non metta in atto la scelta di convocare una seduta consiliare ad hoc per dare vita ad un ordine del giorno per impegnare il Governo sulla risoluzione della vertenza.

Purtroppo bisogna prendere atto che un altro giro di legislatura è passato a vuoto, senza lasciare nessuna traccia di cambiamento. Operiamo affinché le cose possano cambiare in futuro. E sotto questo aspetto ogni cittadino calabrese ha la propria responsabilità che prende corpo già nel segreto della cabina elettorale.

 

*Segretario generale Uil Calabria