«Uccidere la madre vuol dire voler annientare, scientemente, la parte più intima di se stessi, quella parte critica che, sola, può penetrare nel tessuto emotivo dei soggetti inchiodandoli davanti allo specchio della verità, che nell'era dei social network fa risaltare le fragilità e non i costrutti di quella artata fantasia che ti rende perfetto agli occhi degli altri». Lo afferma in una nota il sociologo e presidente dell'Osservatorio sui Diritti dei Minori, Antonio Marziale, circa l'arresto a Cosenza di un minorenne accusato di aver ucciso la madre. «Non occorre, adesso, inerpicarsi – prosegue – sulle pareti scoscese delle diagnosi intrapsichiche, perché quanto avvenuto, per futili motivi, per un normale confronto generazionale, è frutto di lucidità strategica che il minorenne ha palesato negli attimi immediatamente successivi al decesso della madre al fine di sviare le indagini, senza riuscire però a ingannare gli uomini del vicequestore Giuseppe Zanfini, ai quali va il più sincero apprezzamento per la professionalità e la sensibilità che ha contraddistinto l'azione di Polizia al cospetto di un caso destinato a rimanere impresso nella storia dei delitti più raccapriccianti».
«Pensare di farsi tatuare a tutto braccio – evidenzia il sociologo – un'ode d'amore alla madre, dopo averla uccisa e dopo avere fatto di tutto per nascondere l'orrenda verità, ci dice che abbiamo a che fare con una mente lucidamente esaltata. Adesso è tempo della pietà, è tempo della giustizia, che tenuto conto dell'età dell'omicida non potrà comminare l'ergastolo, come magari i più indignati vorrebbero, ma è anche tempo che la giustizia si renda conto che l'adolescenza non è una malattia, bensì una fase della vita che ci dice con che tipo di soggetto la società avrà a che fare».