A vedere le foto sembra una macchia sull’asfalto. Invece è un dispositivo innovativo per il monitoraggio di bici e monopattini elettrici. La strada della foto si trova a Valencia, in Spagna, ma a sviluppare il dispositivo sono stati due ragazzi calabresi. Alfonso Tedesco e Raffaele Italiano, di Corigliano Rossano il primo, il secondo di Delianuova. Entrambi 26enni, in tasca una laurea in Ingegneria elettronica conseguita all’Unical che a più di duemila chilometri di distanza sta dando i suoi frutti e facendo parlare le testate tv e web.

«Nella foto il dispositivo era stato appena installato, quindi il materiale è fresco ed è più scuro, ma adesso non si nota assolutamente nulla. Tanto che l’altro giorno sono passato di lì e mi sono detto: “Cavolo, ce l’hanno già rubato”». Niente brutture in giro per la città, dunque, rassicura Alfonso prima di passare a spiegare nel dettaglio di cosa si tratta.

«Sono delle piattaforme nere che vengono posizionate a filo della pista ciclabile o anche della strada e sotto le piattaforme c’è il sensore che rileva il passaggio dei veicoli».

Dispositivi di questo tipo ne esistono già. Dov’è, dunque, la novità? «La novità è che con un unico sensore noi riusciamo a misurare la velocità, il senso di marcia e a discriminare se è passato un monopattino o una bici. Parliamo infatti di caratterizzazione, perché non è un semplice conteggio dei veicoli in transito. La velocità si poteva misurare anche prima, ma servivano due sensori messi a una determinata distanza per poterla ricavare tramite una formula, con il nostro dispositivo non c’è più bisogno di fare ciò».

Il sistema si chiama SafeRoads Maxwell ed è stato progettato dall’azienda Argos Mobility S.L., spin off dell’Università Politecnica di Valencia. Nel 2021 il gruppo di ricerca di Sistemi di controllo del traffico guidato dal professor Antonio Martínez Millana brevetta il primo sensore per rilevare il transito di bici e monopattini. A novembre dello scorso anno nasce il progetto per il nuovo dispositivo. Alfonso e Raffaele vi lavorano in tandem, uno sul versante dell’hardware e l’altro del software.

«Il sistema migliora notevolmente la precisione nella rilevazione e caratterizzazione di monopattini e biciclette elettriche, riducendo il margine di errore nella misurazione della velocità e della lunghezza dei veicoli al 5%, rispetto al 20% dei sistemi tradizionali, e consente di conoscere in tempo reale situazioni pericolose per avvisare gli utenti della strada – spiega Martinez su una delle testate spagnole che hanno riportato la notizia –. Grazie a questo sistema, avremo informazioni precise e in tempo reale sullo stato delle piste ciclabili, il che faciliterà una migliore gestione del traffico dai centri di controllo e permetterà di ottenere statistiche sulla mobilità in diversi punti della città, come aree ad alta incidentalità e affluenza».

I dati raccolti vengono registrati su un server dell’azienda e resi disponibili online o, tramite una scheda Sd, consegnati al Comune. In realtà c’è anche un’altra opzione. «Quella striscia nera che si vede in foto è il cavo di alimentazione e trasferimento dei dati – spiega Alfonso – che vengono inviati alla sala di controllo del traffico del Comune». Ma non tutte le città ne hanno una e da qui la necessità di metodi alternativi.

Il tutto nel totale rispetto della privacy. «Non utilizziamo metodi di riconoscimento personale. E non esistendo l’obbligo di matricola per questi mezzi il dispositivo, se per esempio c’è un illecito, si limita a segnalarlo. Se poi la legge dovesse cambiare ci adegueremmo».

Il progetto è finanziato da Valencia Innovation Capital, programma di sovvenzioni del Comune di Valencia. Il primo dispositivo è stato installato all’interno dell’università. «È stato il nostro banco di prova – racconta Alfonso –. Una volta che abbiamo visto che funzionava lo abbiamo installato in una delle strade principali della città».

Ma il viaggio non finirà qui. «Abbiamo già un pre-accordo con il Comune di Valencia per installazioni in almeno 200 punti. E poi con Madrid e Saragozza».

Dall’Unical alla Spagna

In Italia, chissà. Alfonso ci pensa. E ci spera. Quattro anni fa è volato in Spagna per l’Erasmus, all’ultimo anno di magistrale. «Qui ho incontrato il professore Antonio Martinez Millana, mi ha proposto di restare, avevano bisogno di un ingegnere elettronico, e io ho accettato. Non conoscevo neanche la lingua». Adesso dirige la parte tecnica del progetto. Rendendo orgogliosi mamma e papà, che all’inizio non erano contentissimi. «Li ho messi davanti al fatto compiuto, io avevo già deciso».

Raffaele ha raggiunto Alfonso a novembre scorso. Da febbraio vive stabilmente a Valencia. «Sono arrivato qui grazie a lui – racconta –. Dopo la triennale all’Unical mi ero trasferito a Bologna per la specialistica, ma non sono riuscito a completarla perché mi sono trovato male. Cercavo lavoro e così ho chiamato Alfonso». L’amicizia nata tra i cubi del Dimes comincia una nuova stagione in Spagna.

«All’inizio avevo un po’ paura, poi però c’è sempre stato lui a darmi una mano». I genitori? «A malincuore mi hanno detto di andare. Sapevano che qui in Italia stavo avendo difficoltà. Ovviamente sono anche preoccupati, ma quando gli ho dato la notizia del dispositivo sono stati felicissimi».

Nel bagaglio di Alfonso e Raffaele, oltre ai tanti ricordi, anche la solidissima formazione a marchio Unical.

«Quell’esperienza è stata la migliore della mia vita – dice Raffaele – a livello sia umano sia didattico. Ho incontrato persone che mi hanno trasmesso molte passioni, come quella per l'informatica. L’Unical mi ha aiutato tantissimo, credo che sia un'università molto valida e non vale la pena andare lontano. Come ho fatto anch’io». A Bologna, Raffaele era convinto di avere più opportunità di lavoro dopo la laurea. Ma poi le cose hanno preso una piega diversa.

La Calabria, però, per lui adesso appare lontana. «Certo, quello che vorrei è tornare giù, però so che la carriera che posso avere qui lì sarebbe più difficile averla. Perciò almeno per i prossimi anni mi vedo ancora qui».

«Io penso che la formazione che ci ha dato il Dimes dell’Unical sia superiore a quella di tante altre università», dice Alfonso. Su quelle basi oggi sta costruendo il suo futuro. E ogni tanto sogna in grande. «Se dovesse andare bene e dovessimo aprire una filiale in Italia, e perché no in Calabria, magari potrei occuparmene io così con la scusa me ne ritorno a casa».