Misteri e suggestioni si mescolano in occasione della tradizionale ricorrenza: dalla storia del lupo mannaro di San Giovanni in Fiore al cavaliere fantasma in Aspromonte
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Mistero, superstizioni e racconti di paura si mescolano ogni anno tra il giorno della vigilia di Ognissanti e la commemorazione dei defunti, data non festeggiata solo nei paesi celtici e in America. Negli ultimi anni infatti è stata avanzata un’altra ipotesi, che ribalta completamente le credenze che girano intorno a queste date. A rivoluzionare la tradizione è stato Luigi Maria Lombardi Satriani, studioso calabrese e professore all’università Sapienza di Roma. In alcuni passi del libro "Il Ponte di San Giacomo", scritto in collaborazione con Mariano Meligrana, sostiene l'ipotesi che in Calabria fosse usanza commemorare i morti tramite un’antica tradizione popolare calabrese, ovvero la realizzazione del "Coccalu di muortu".
Secondo i suoi approfondimenti infatti pare che, già secoli fa, a Serra San Bruno, nel vibonese, nel giorno della commemorazione dei defunti i bambini preparassero delle zucche intagliandole a mo’ di teschio inserendo all’interno una candela accesa, e portandola in giro per il paese. Non è così sorprendente quindi scoprire che in Calabria sono numerose le storie legate all'aldilà e ai defunti, ad eventi e personaggi soprannaturali. E a quella ritualità che da sempre collega il mondo ultraterreno con quello terreno, principalmente legato anche ai cicli della natura, dove a fare da cornice erano - e continuano ad esserlo - gli spiriti, che non erano mai cattivi, se non con qualche eccezione.
Il Lupo mannaro di San Giovanni in Fiore
Il lupo è l’animale simbolo della Calabria, che ancora oggi abita i boschi e le montagne della Sila, anche simbolo di forza e resistenza. E se vi dicessimo che oltre ai lupi nella nostra regione esistono anche i lupi mannari, i licantropi? A San Giovanni in Fiore, proprio a due passi dalla Sila, si dice che nelle notti di novilunio, un grosso lupo mannaro girasse per le vie del paese in cerca di vittime delle quali nutrirsi. Aveva sembianze di un lupo ma riusciva a camminare su due zampe come un umano.
Secondo i racconti si trattava di Feliceantonio Cucumella, guardiano in una vecchia masseria, che durante un anno particolarmente freddo e nevoso rimase bloccato per parecchio tempo in Sila, solo in compagnia di un giovane stalliere. Quest’ultimo durante l’inverno si ammalò e morì, e il suo corpo rimase nella neve per molto tempo prima che venisse sepolto.
Per sopravvivere, e avendo finito le provviste, Feliceantonio Cucumella si vide costretto a mangiare carne umana, e da quel momento iniziò a trasformarsi in un lupo mannaro. Quando finito l’inverno tornò a casa, all'inizio nessuno si accorse del suo cambiamento, fino a quando una notte si trasformò in un uomo lupo, spaventando terribilmente la propria famiglia che riuscì a chiudersi in un sottoscala prima che potesse aggredirla, e uscì da casa in cerca di carne umana da divorare. Gli abitanti iniziarono quindi a non uscire più durante le notti di luna nuova, e ad aspettare l’alba per uscire di casa, momento in cui Cucumella tornava ad assumere le sue sembianze normali e lasciare quelle di lupo, metamorfosi che terminò solo alla sua morte, quando gli abitanti del paese di San Giovanni in Fiore poterono iniziare ad uscire senza la paura di essere sbranati.
La licantropa di Nicastro
Dall'entroterra delle montagne cosentine ci spostiamo a Nicastro, zona centrale di Lamezia Terme, dove viene ancora raccontata la leggenda di una licantropa. Secondo la leggenda il Conte Masano aveva sposato la figlia del Barone Arena, posseditore di una ampia riserva sotto il continuo controllo dei suoi guardiani contro gli attacchi dei bracconieri.
Durante una notte, uno dei guardiani fu aggredito da un branco di lupi, e cercando di difendersi dall’attacco riuscì a tagliare una zampa ad uno degli animali. Quando uno dei compagni andò a riferire l’accaduto al conte e al barone, i due chiesero di vedere la zampa, che era stata avvolta in un pezzo di stoffa. L’uomo fidato del barone portò la zampa ai due nobili, ma quando aprirono il pezzo di stoffa, la zampa si era trasformata in una mano di donna, con un anello al dito. Il conte riconobbe subito l’anello: era di sua moglie. La fece chiamare e ne ebbe la prova: la donna aveva infatti un braccio fasciato, e quando tolse le bende, questo era ancora sanguinante e senza una mano. La contessa venne chiusa nel castello, per poi essere condannata a morte.
La leggenda du Passu da zita
Ci spostiamo ora in Aspromonte, sul vecchio sentiero che portava da Roghudi Vecchio, ora completamente abbandonato, a Bova, a circa 800 metri d’altezza. Secondo la leggenda una ragazza, probabilmente di Africo o di Roghudi - in base al luogo in cui viene raccontata - era stata costretta a prendere come marito senza il suo volere un ragazzo benestante di Bova, del quale non era innamorata. Nonostante ciò, i familiari avevano organizzato le nozze, decisi a farla sposare proprio con quell'uomo. Si preparò così, mettendo il vestito bianco che non avrebbe voluto indossare in quel momento, e si incamminò verso quella che sarebbe stata la sua porta verso una vita non desiderata e infelice. Vestita di bianco, con il padre sotto braccio e tutto il corteo nuziale che li seguiva, la ragazza presa dallo sconforto di andare in moglie ad un uomo che non voleva sposare, piuttosto che vivere una vita infelice, arrivata nella parte più alta si lanciò giù nel dirupo. Da allora quel luogo viene chiamato Passu da zita, dove si dice che alcuni abbiano sentito piangere qualcuno, pur senza che nessuno si trovasse lì nelle vicinanze.
Il cavaliere fantasma
Rimaniamo in Aspromonte, dove ancora diffusa in un piccolo paese dell’entroterra è la leggenda del cavaliere fantasma. Avvistato da più persone e sempre nello stesso punto, il cavaliere in sella al suo cavallo grande e scuro appariva a chi si trovava in paese, di notte, e passava cavalcando scomparendo poco dopo alla vista di chiunque. Qualche decennio fa, proprio nello stesso paese, mentre si era in procinto di costruire un palazzo e si stava scavando per creare le fondamenta, fu ritrovato un uomo sotterrato vicino ad un cavallo, proprio nello stesso luogo in cui anni prima più abitanti della comunità ne avevano avvistato il fantasma.
I bambini e l’orfanotrofio di Locri
Una villa vittoriana con ampie ed eleganti scale: è l’ex orfanotrofio di Locri, a Palazzo Zappia, che dopo essere stata la casa per bambini senza famiglia, veniva utilizzato in alcune occasioni per accogliere bambini e genitori per brevi “vacanze” collettive. Gli abitanti temporanei del palazzo iniziarono a pensare che ci fosse qualcosa di strano: si sentivano voci senza capire da dove provenissero, e succedevano cose strane, come una macchina da scrivere che una volta fu vista mentre si muoveva senza che nessuno la toccasse, o il rumore di un grosso mobile con un vetro andare in frantumi, senza però che quest’ultimo si trovasse in nessuna stanza del palazzo. Durante una delle serate in cui si cenava tutti insieme, un uomo aveva deciso di andare a letto prima perché molto stanco, e iniziò a sentire dopo poco qualcuno che piangeva, sembravano dei bambini.
Si affacciò quindi per controllare da dove provenisse quel piangere, ma non vide nulla, per varie volte. Un altro signore dalla stanza vicina si affacciò dal balcone incuriosito, e decisero di andare insieme a vedere da dove venissero i versi che stavano sentendo. Si misero a seguire le voci, e si accorsero che provenivano da una delle porte delle stanze del palazzo, al secondo piano, dove si trovava una vecchia stanza chiusa. Appena la aprirono i singhiozzi si fermarono, ma dentro c’erano solo dei letti vuoti. Si misero a cercare nel palazzo se ci fosse qualcuno oltre agli ospiti, ma non trovarono nessuno. Il giorno dopo scoprirono che durante la guerra l’allora orfanotrofio fu bombardato, e che molti bambini morirono rimanendo bloccati nelle proprie stanze.