Dai classici cuddruriaddri cosentini, dalla pronuncia quasi impossibile per gli stranieri, al rito dei Perciavutti e della pittaima. Ecco cosa troveremo nei piatti della prima delle feste natalizie
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Se l’Immacolata, nella tradizione cattolica, celebra la purezza della Madonna, in Calabria celebra anche la tecnica di cottura più amata delle feste: la frittura, che si declina, nelle varie zone della regione, con nomi e impasti diversi accomunati dal preludio alle grandi abbuffate del treno natalizio. A Cosenza il piatto protagonista è caratterizzato da una pronuncia complessa e distintiva, con varianti lessicali che variano in base alla regione (montagna, collina, mare): il cuddruriaddru.
Rappresenta un elemento imprescindibile e una tradizione consolidata dopo la celebrazione della Vigilia. Il nome, derivato da “cuddura” e dal greco antico kollura, che significa “corona”, fa riferimento alla sua forma circolare con un foro centrale, agevole per girovaghi e pastori che lo infilavano al braccio o al bastone durante viaggi e transumanze.
Queste particolari ciambelle, chiamate cuddruriaddri nel centro di Cosenza, assumono nomi diversi come cullurielli, zippuli o grispelle, a seconda delle zone geografiche della Calabria. La preparazione di queste delizie prevede l’utilizzo di acqua, farina e lievito di birra. Benché la ricetta originale cosentina non preveda l’uso di patate, molti le aggiungono per conferire all’impasto una consistenza ancora più soffice e delicata. Per i palati più golosi, esiste una variante dolce dei cuddruriaddri, dove le ciambelle appena fritte vengono immerse nello zucchero.
A Mormanno, dal 7 al 9 dicembre, si celebra la festa del “Perciavutti”, vengono aperte le botti per degustare il vino novello. Anche a Catanzaro, l’Immacolata è venerata come patrona, con la storia che racconta dell'invocazione della protezione della Madonna nel 1641 contro la peste, con successo, salvando così la città. La devozione all’Immacolata, spesso legata a eventi drammatici nella storia dei territori, non ha mai subito interruzioni brusche.
A Rose, nel cuore del cosentino, la vigilia si caratterizza per la preparazione delle “pittuliddre”, frittelle che evocano il ricordo dei defunti. Il pane con semi di finocchio è una preparazione che simboleggia il gesto di condividere il cibo come atto di memoria. In diversi paesi della zona cosentina, tra cui Serra Pedace, il grano cotto è protagonista delle tavole durante la vigilia. Questa antica tradizione, radicata nelle comunità locali, simboleggia l’abbondanza e la gratitudine. Spostandoci nel Catanzarese, a Serrastretta, la “pittaima” conquista i palati con la sua focaccia azzima composta da acqua e farina, condita con miele o acciughe salate. Un connubio di sapori che sottolinea la varietà delle proposte gastronomiche nel territorio. A Nicotera, nel Vibonese, le famiglie del paese seguono la tradizione di consumare un pasto tipico per la Vigilia. La pasta fatta in casa, arricchita con carne di maiale, è seguita da zucca rossa fritta e dolci preparati con cura in casa, creando un’esperienza culinaria che abbraccia la convivialità e il legame con le radici.