Prelibatezze a tutte le latitudini: cuddruriaddri (o cullurialli?), grispedde, zippuli. Ma anche il novello dei Perciavutti e tante altre tradizioni da gustare
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Fermi tutti, oggi (e anche ieri, a dire il vero) si frigge. E la tradizione cattolica dell’Immacolata che celebra la purezza della Madonna si unisce a quella culinaria.
Con declinazioni diverse a seconda della longitudine: in comune ci sono ingredienti (con qualche variante) e abbondante olio. Pure un pizzico di permalosità: a ciascuno le sue prelibatezze che ovviamente sono più prelibate di quelle degli altri.
Provate a dire culluriallu anziché cuddruriaddru a Cosenza: rischierete una reprimenda pubblica. Manuale di pronuncia per forestieri: la d e la r si arrotondano come in children. Uno dei meme più celebri sul tema mostra la statua di Telesio che regge in mano una ciambella fritta ma, viste le dispute su nome e ingredienti, i cosentini sembrano tenere più alla purezza della seconda che alla sapienza del primo.
Per la ricetta i rischi sono ancora più alti: nel capoluogo si aggiungono patate secondo la classica e indecifrabile misura “quante se ne prende” (la farina) mentre nei comuni dell’area urbana che si inerpicano fino in Sila il culluriallu (lì si pronuncia così) è senza patate. Inimmaginabile nel capoluogo. Non fatelo sapere ai cosentini: uno dei punti di riferimento dell’enogastronomia italiana, il sito di Luciano Pignataro spiega che a pittule, zippuli, grispedde, pittulelle e cuddurieddi (anche i grandi sbagliano…) «solo in tempi più recenti sono state aggiunte le patate». Fermiamoci qui: l’importante almeno per oggi è friggere. Ricetta base: acqua, farina e lievito (e patate), sagomare piccole porzioni a forma di ciambella e gettare nel pentolone con abbondante olio. La variante con pezzetti di acciughe (vecchiareddra, secondo la lectio cosentina) è obbligatoria ma si fa anche con un tocco di ‘nduja. All’occorrenza e a fine pasto c’è anche la versione dolce con zucchero o miele.
Il fritto è nell’aria ma i giorni dell’Immacolata si connotano a Mormanno per la festa del Perciavutti: dal 7 al 9 dicembre nel centro del Pollino vengono aperte le botti per degustare il vino novello.
A Rose, nel cuore del Cosentino, la vigilia si caratterizza per la preparazione delle “pittuliddre”, frittelle che evocano il ricordo dei defunti. Il pane con semi di finocchio è una preparazione che simboleggia il gesto di condividere il cibo come atto di memoria. In diversi paesi della zona cosentina, tra cui Serra Pedace, il grano cotto è protagonista delle tavole durante la vigilia. Questa antica tradizione, radicata nelle comunità locali, simboleggia l’abbondanza e la gratitudine.
Spostandoci nel Catanzarese, a Serrastretta, la “pittaima” conquista i palati con la sua focaccia azzima composta da acqua e farina, condita con miele o acciughe salate. Un connubio di sapori che sottolinea la varietà delle proposte gastronomiche nel territorio. A Nicotera, nel Vibonese, le famiglie del paese seguono la tradizione di consumare un pasto tipico per la Vigilia. La pasta fatta in casa, arricchita con carne di maiale, è seguita da zucca rossa fritta e dolci preparati con cura in casa, creando un’esperienza culinaria che abbraccia la convivialità e il legame con le radici.