Se volete assistere ad uno dei riti più particolari presenti in Calabria, non potete perdere quello della Festa della Pita di Alessandria del Carretto, l’ultima domenica di aprile, che quest’anno si svolgerà il 30. Situata all’interno del Parco Nazionale del Polino, a mille metri di altezza, Alessandria del Carretto è un piccolo paesino di circa 400 abitanti, in cui i vicoli si inseguono tra una casa e l’altra del centro storico. Il rito della pitë, ovvero dell’abete, inteso come simbolo virile, l'albero della vita e della rinascita, sembra risalga già al 1600, e secondo una delle leggende tramandate oralmente nella comunità, pare che si sia scelto proprio l’abete poiché un pastore vide la figura di Sant’Alessandro, patrono del paese, all’interno dell’albero. Secondo un’altra invece sembra che al taglio di un abete sia fuoriuscito del sangue, attribuito allo stesso santo, e che un forestale che non dava credito a tali storie fu colpito da un malore e morì sul posto.

Dal taglio dell’albero al rito della pitë

Il rito inizia già la domenica precedente quando l’albero, come da tradizione di circa 22 metri, viene donato dal comune di Terranova del Pollino, territorio lucano confinante con Alessandria. Dopo essere stato tagliato viene diviso in due parti, tronco e cima, in attesa della domenica seguente, quando le due parti scenderanno verso il paese trasportate da due gruppi di persone differenti, per poi essere innestati insieme e innalzati il 3 di maggio, festa di Sant’Alessandro. Secondo alcuni studiosi i due elementi rappresenterebbero il rito della sposa e dello sposo. A partire dalla mattinata l’abete viene spinto a braccia dalla montagna, partendo da località Spinazzeta, fino al paese, senza funi ma legando le pertiche utilizzate con quelle che dagli alessandrini vengono chiamate “torte”, piante selvatiche riscaldate al fuoco e lavorate che hanno una resistenza molto alta. La forza necessaria per spingere è tanta, e capita che a volte ci si dia il cambio durante la discesa.

Una volta erano interamente gli abitanti del posto che riuscivano, con una grande partecipazione, a realizzare la faticosa impresa. Ora sono anche persone provenienti da altre parti della Calabria, ma anche da fuori regione, ad aiutare durante la giornata a portare giù l’albero, aiutando la comunità che negli anni è andata sempre più diminuendo. Le manovre sono facilitate da chi ha più esperienza, che posizionato in piedi sull’abete “guida” il gruppo nei passaggi più difficoltosi. A fare da contorno un tripudio di suoni dei vari strumenti tipici del Pollino: organetti, tamburelli e zampogne, ma anche danze, accompagnano la discesa e le pause in cui ci si rifocilla assaggiando prodotti e vino locali. Un momento di aggregazione in cui si condivide il proprio cibo con gli altri, facendo sì che la fatica si senta di meno. Dopo le varie tappe lungo il percorso in montagna, la prima più vicina al paese è
quella a Difisella, nei pressi dell’ostello, dove anche chi non ha la possibilità di arrivare fino in montagna, potrà assistere alla discesa prendendo parte alla festività dal qual momento in poi. Ultima fermata sarà piazza San Vincenzo, in paese, dove la pita sarà posizionata e fatta “riposare” fino al 3 maggio, giorno della festa patronale, mentre tutto intorno continueranno suoni e danze fino a tardi.

Com’è cambiata la pitë rispetto agli anni passati

Fino a quando le persone che prendevano parte alla discesa svolgevano lavori prettamente agricoli, la durata della pitë era molto più breve. Questo poiché una volta arrivati in paese, gli uomini dovevano tornare a casa a terminare la giornata nei campi o per dare da mangiare agli animali. Cambiando i tempi e cambiando anche le abitudini lavorative, oggi la festa di comunità ha tempi molto più dilatati, e si cerca di far durare le pause tra una tappa e un’altra per più tempo per godere appieno della giornata, che ritornerà solamente l’anno dopo. Il taglio dell’albero poi, fino a qualche decennio fa, veniva effettuato con asce strumenti più rudimentali, dando così a chi partecipava la possibilità anche di chiacchierare durante l’operazione, e di fare qualche suonata con gli strumenti tradizionali. Inoltre solitamente le donne del paese non salivano in montagna ma si dedicavano alla cucina, e aspettavano che l’abete arrivasse in località Difisella, dove ci si riuniva e si mangiava tutti insieme, anche se ovviamente non c’era l’abbondanza dei piatti come ora.

La preparazione per Sant’Alessandro

A seguire la tradizione della pitë è la festa di Sant’Alessandro, patrono di Alessandria del Carretto, che viene festeggiato ogni anno il 3 di maggio. Le due feste di comunità sono legate, in quanto l’abete posizionato in paese, dopo essere stato ripulito nel pomeriggio del 2 maggio, verrà innestato attraverso dei particolari fori effettuati sulle due parti dell’albero, unendo così la cima con il tronco.
L’abete verrà poi alzato a forza di braccia da terra, la mattina del 3 maggio, e inserito in una specie di botola che sarà riempita con delle pietre e una sorta di muratura particolare da effettuare nella buca profonda fatta per contenere l’albero, tramite l’inchiodatura di tavole di quercia per dare equilibrio e stabilità. Dopo la sistemazione partirà la processione del santo che percorrerà le vie del paese fino all’arrivo davanti alla chiesa, senza però entrare, poiché si svolgerà un altro rito tradizionale, l’incanto.

Per finanziare la festa infatti, la comunità offrirà cibo e soprattutto fiaschi di vino, che potranno essere acquistati tramite un’asta, durante la quale il miglior offerente si aggiudicherà di volta in volta il prodotto messo in vendita. Un rituale ormai entrato a far parte delle tradizioni di Alessandria del Carretto, che insieme alla pitë rappresentano le feste di comunità più attese e maggiormente sentite, poiché tramandate, nonostante il passare dei secoli, ancora di generazione in generazione.