Una tradizione unica nel suo genere: parole di preghiera e speranza vengono rivolte alla Madonna considerata "avvocata" del paese che si crede in passato abbia difeso da pesti e terremoti
Tutti gli articoli di Destinazioni
PHOTO
Un vasto patrimonio architettonico e storico in cui spicca su tutti il castello della Valle, insieme all’ex convento dei cappuccini, al palazzo Zupi, le chiese e la torretta sotto la torre dell’orologio con un affaccio sul mar Tirreno. Senza tralasciare piazze e vie arricchite dall’arte di Salvatore Fiume, pittore che affascinato dalla bellezza del posto volle lasciare la sua impronta artistica in molti angoli del paese.
È in questo contesto che a Fiumefreddo Bruzio, borgo del basso Tirreno cosentino, prende vita ogni anno un rito particolare, unico nel suo genere, dedicato all’Immacolata Concezione, durante la notte tra il 7 e l’8 dicembre.
Le origini
Più che una serenata, come viene chiamata spesso, si tratta di un Inno all’Immacolata, considerata “avvocata” di Fiumefreddo Bruzio, poiché nel passato ha difeso il paese da pesti e terremoti.
Una devozione per la Madonna (la statua sotto nella foto di Raffaele Ercole Biagio Malito) che iniziò a far parte del vivere collettivo nel 1268 con l’istituzione dell’Ordine Serafico, molto devoto della Vergine. Devozione rinnovata dopo il 27 marzo 1638, quando ci fu il terremoto, e nel 1656, quando i fedeli fiumefreddesi chiesero la sua protezione dalla peste nera che era riuscita ad arrivare a Napoli, che proprio l’8 dicembre dello stesso anno fu dichiarata definitivamente scomparsa.
Inizia da lì a delinearsi quella devozione che i fedeli racchiudevano nella processione durante la quale portavano la statua della Madonna per le vie principali del paese, per ringraziarla del miracolo concesso. Rito che si arricchisce, a partire dall’ultimo decennio dell’800, della musica itinerante della filarmonica locale Rossini, i cui componenti, prima di incamminarsi lungo i vicoli e le piazze, si riunivano a Palazzo Morelli per pianificare l’organizzazione e far sì che tutto procedesse in modo lineare e senza brutte sorprese. Il suono della filarmonica sostituiva il suono delle campane e aveva il compito di svegliare gli abitanti del paese. La tradizione arriva ai nostri giorni sicuramente in po’ modificata dal tempo che passa, ma ancora oggi continua ad essere fortemente sentita dalla comunità.
Il rito
Una trentina di uomini, di diverse età, si ritrova alle 2 e mezza del mattino dell’8 dicembre davanti alla chiesa matrice, dove si trova la statua dell’Immacolata, e da lì parte a piedi alla volta delle vie del paese, intonando per il resto della notte canti e inni. Tra questi c’è Aver vorrei, composto verso la fine dell’ ‘800 da Domenico Del Bianco, cittadino fiumefreddese, fatto stampare nel 1889 su foglio volante a Cosenza per essere distribuito a parenti e amici. E Inno all’Immacolata, composta anche questa da un membro della filarmonica, che tra le altre strofe recita “Questa terra che ti onora/ dalla fame, guerra e peste/ da tremuoti e da tempeste/ sia da te sempre guardata/ o Concetta Immacolata”.
Parole di preghiera e speranza affinché la Madonna possa continuare a proteggere da avvenimenti catastrofici, ma anche come ringraziamento per la protezione ottenuta fino ad ora, una vera e propria devozione che si trasforma in note musicali. I cantori si accompagnano ad alcuni strumenti, pochi ma importanti: la fisarmonica, la chitarra, il clarinetto e il flauto. Il corteo, al quale partecipano anche altri abitanti della comunità e di altri paesi vicini, si ferma di tanto in tanto davanti ad alcune case: sono quelle in cui una volta abitavano donne e ragazze di nome Concetta, come l’Immacolata, alle quali cantori e suonatori dedicavano i brani, rimaste come “fermate” anche se oggi più nessuna si chiama più così in paese.
Era tradizione, una volta portato il canto, che si entrasse nelle case, dove la famiglia coinvolta preparava tavole piene di ogni cosa per rendere omaggio a chi con fede portava avanti la tradizione: dolci, affettati, pane, piatti tipici e vino venivano offerti in segno di ringraziamento. Negli ultimi anni ci si limita a rimanere all’esterno e sono le stesse famiglie a portare fuori qualcosa da mangiare e bere, per riscaldare chi porta avanti la tradizione.
Dopo aver cantato per ore, tutta la notte, ed aver salutato l’ultima casa, alle 6 e 30, quando il cielo da lì a poco inizierà a schiarirsi, si ritorna al punto di partenza, alla chiesa matrice. Qui i devoti con gli strumenti si posizionano sulle scale ed entrano percorrendo la navata, suonando e intonando i brani, facendo risuonare tra le pareti della chiesa la massima espressione della devozione e l'attaccamento alla tradizione. Gli inni si fanno più lunghi, vengono aggiunte strofe e varianti, qui in casa dell’Immacolata Concezione.
Alla fine dei canti, ci si siederà ai banchi, mentre il parroco darà inizio alla funzione religiosa, che sancirà la fine della tradizione che continua con forza a resistere nonostante il passare del tempo.
I versi di Inno all’Immacolata
O Concetta Immacolata
Tu del cielo sei Regina
Pura Madre sei Divina
e di stelle incoronata.
O Concetta Immacolata
Questa terra che Ti onora
Dalla fame, guerra e peste,
Da tremuoti e da tempeste
Sia da te sempre guardata
O Concetta Immacolata
Il Demonio freme d’ira
Nell’eterno suo tormento,
Ché non fosti un sol momento
Schiava sua contaminata
O Concetta Immacolata
Aver vorrei
Aver vorrei degli Angeli
L’amore, e la favella
pura vorrei quest’anima
qual raggio d’una stella,
per dedicarti un cantico, o Madre del Signor.
Se non m’è dato, ispirami
Sensi di caldo affetto: la tua soave
Immagine ridesti nel mio petto
coi più ferventi palpiti la carità maggior.
Ed io m’accingo a sciogliere
divotamente il canto
Per Te, che sei tra i secoli
Prima delizia e vanto
Della Divina Triade, che ti colmò d’onor.
Immacolata, ed inclita
Dio ti formò sgabello
Del suo creato – in estasi
pel nome tuo si bello:
rapite son l’angeliche schiere dai vanni d’or.
Innanzi a Te si prostrano
Gli Eletti, e i Figli tuoi,
nel ciel, con essi, esultano le Vergini e gli Eroi
che le battaglie vinsero
del Mondo seduttor.
Inni di gioia echeggiano
Dall’una all’altra sfera
Dove la luna sfolgora
Dove non è mai sera,
mentre su tutto espandesi di Dio l’immenso amor.
Tu Gloria dell’Empireo,
madre d’ognun pur sei,
che in terra hai reso celebre
la valle di Pompei:
di là diffondi ai popoli
le grazie del tuo cuor.
Onde sollevi l’umile,
proteggi l’innocente, l’egro risani e tenera
conforti Tu il morente,
che negli estremi aneliti
a Te si affida e muor!
Salve! Sublime Vergine
Nel tuo candor di giglio,
guida mi sii nell’arduo
sentier di questo esiglio
e qual rugiada al calice
d’un appassito fior.
Finchè vivrò, più fervida
La prece mia t’avrai,
verrò l’aiuto a chiederti,
che tu negar non sai
a chi, per colpe debole,
può ricadervi ognor.
E quando giunt’al termine
Sarà la vita mia
Deh fa che il labbro schiudasi,
per dirti: Ave Maria!
Tu l’esalato Spirito,
pietos’accogli allor.
Al Ciel, sua patria, l’esule
Ascender poi vedrai,
se tu l’Eterno Giudice,
pregar per lui vorrai
nel di segnato agli uomini,
di gioia e di dolor.