Tutto è rimasto come congelato nel tempo, tutto qui si è fermato il 21 marzo del 1982. Ci troviamo ad Avena, frazione di Papasidero, nella Valle del Lao e nel cuore del Parco Nazionale del Pollino, proprio al confine tra Calabria e Basilicata. Da allora, quando ci fu il terremoto, Avena è un paese con le case ancora in piedi ma dove non è rimasto più nessuno, se non un frate che ha deciso di rimanere lì stando solo con la sua preghiera.

Una signora dai capelli grigi e con un bastone in mano, poggiata al muro che porta alle vecchie casette mi saluta, e risponde alle mie domande dicendo che non abita più lì, ma a Bivio Avena, la parte nuova ricostruita poco lontano. Ritorna ad Avena tutti i giorni per pascolare le sue pecore. Le chiedo se è sola e mi risponde che le sorelle la aspettano vicino la chiesetta, poco più avanti. Loro che «sono andate in città», dopo il terremoto, come mi dice. Lei invece è rimasta, ormai abituata qui, dove ha deciso, chi sa se per scelta o condizionata dalla vita, di restare in quel posto che l’ha vista crescere e giocare con le sue sorelle e altri bambini, molto tempo prima.

Le origini nel IX secolo 

Secondo fonti storiche certe Arena fu fondata intorno all’anno 1000, citata per la prima volta nel 1079 nel documento in cui Pietro Pappacarbone venne consacrato vescovo di Policastro dall'arcivescovo di Salerno.

Il borgo nacque con San Leoluca da Corleone, monaco che trasferitosi dalla Sicilia alla Calabria, visitò e si fermò in vari luoghi fino ad arrivare qui, dove fondò il monastero basiliano dell’Avena dando vita al paese, che rimase abitato dai monaci fino al 1100 circa.

I resti e il materiale del monastero abbandonato furono utilizzati per costruire fabbricati e case che rimasero abitate fino al 1982.

Fino al 21 marzo quando una scossa di terremoto costrinse gli abitanti, circa 25 famiglie, a lasciare le proprie case per sempre, per vedersi qualche tempo dopo trasferire a Bivio Avena, il nuovo quartiere fatto di abitazioni costruite apposta per far rinascere nuovamente il paese. Il progetto però non decollò mai: molte famiglie decisero infatti di trasferirsi altrove, lasciando anche il borgo di nuova costruzione quasi disabitato.

La stessa sorte che toccò ad altri paesi del Pollino colpiti dallo stesso terremoto, come Laino Borgo, da allora rimasto solo e abbandonato.

Se non fosse però che ad Avena qualcuno ci abita. Si tratta di un frate, «un eremita» come lo chiamano alcuni in paese a Papasidero, che ha deciso di abitare qui per dedicarsi in solitudine alla preghiera e alla spiritualità.

Quello che rimane

A darmi il benvenuto è il vecchio mini market del paese, “di Oliva Rosina” dice l’insegna, adesso con la serranda abbassata e la scritta sbiadita. Quello che immagino abbia servito bambini e adulti che entravano in quello spazio per comprare il pane, il caffè, lo zucchero, prima dell’avvento dei supermercati, quando le piccole botteghe hanno iniziato a essere sempre meno frequentate a favore di prezzi più bassi e tempi più rapidi.

Le scalette di un paio di case hanno piante verdi e vasi in fiore, segno che qualcuno viene di tanto in tanto, riportando forse per qualche momento fugace Avena al presente, all’oggi, prima che ripiombi inevitabilmente di nuovo nel tempo passato, a 41 anni fa.

Forse è la signora che ho incontrato che se ne occupa, e me la immagino mentre annaffia i fiori, e tra le decine di cose che avrà da pensare per tutto il giorno, dedicherà qualche attimo a ricordare quando anni prima, una vita fa, non era la sola a curare le piante, ma c’era vita in paese tra quelle case oggi vuote, e con qualche oggetto ogni tanto lasciato ancora dentro.

Passeggiando tra una costruzione e l’altra, tra l’erba che indisturbata cresce anche sulle mura e si infila nei balconi, si incontra la chiesa della Santissima Trinità, ancora in piedi, al cui interno si trova un affresco risalente al ‘500, raffigurante la Trinità.

E poi il castello, del quale ora rimane solo un rudere, ma ancora imponente nella vallata, proprio a strapiombo su un dirupo, circondato dalle montagne. C’è ancora un certo fascino lì in quelle case, diroccate e abbandonate, come una porta aperta su un mondo lontano e silenzioso.

Non è comunque raro che amanti di borghi abbandonati, fotografi o viaggiatori vengano qui per riscoprire i vicoli ora desolati, situazione in parte favorita dalla presenza, poco lontano da qui, della Grotta del Romito, una delle più antiche e importanti testimonianze dell’arte preistorica in Italia.

Le case ancora in piedi, alcune più rovinate di altre, con i tetti sprofondati, o i gradini crollati, rimangono lì in attesa che forse qualcuno si ricordi di loro, e faccia ritorno per rimettere a posto quelle mura decrepite, e torni finalmente a togliere le erbacce e a tenere aperte le finestre.