Ci siamo addentrati, con un pizzico di salutare incoscienza, nelle viscere del sottosuolo di Verzino, nell’Alto Marchesato crotonese, alla scoperta delle già tanto decantate grotte carsiche. Che, come dicono gli speleologi «si sviluppano interamente in rocce gessose che rendono le cavità importanti anche a livello nazionale per la loro rarità e solitamente sono sempre connesse, come nel caso della recente scoperta, a torrenti sotterranei perenni o stagionali». Sono grotte millenarie scoperte di recente e da tre anni visitabili grazie alla tenacia dell'associazione Verzino Adventure i cui esperti accompagnano i visitatori alla scoperta di un territorio ricco di scenari naturalistici incantevoli. Tra i più belli d’Italia, assolutamente intatti nella loro millenaria bellezza. Ed è da tutta Italia che arrivano studiosi, appassionati e turisti.

Alla guida del gruppo c’è Antonio Biafora, giovane imprenditore agricolo del posto che con l’associazione ‘Verzino Adventure’ si sta spendendo molto per far conoscere queste meraviglie naturali.

Abbiamo prenotato per tempo (non è facile trovare posti liberi), e così domenica ci siamo tuffati in un misterioso percorso di inimmaginabile suggestione.

Eravamo in quattro, e ci siamo uniti ad altri sette provenienti da diversi paesi. Gran parte sono giovani, noi i più attempati (ma chi ce l’ha fatta fare, dicevano le nostre signore incredule ma piuttosto incuriosite). In realtà, tutti ci siamo lanciati senza nemmeno immaginare che cosa ci aspettava.

Obbligatorio indossare la tuta protettiva e il casco. Passo dopo passo ci siamo spinti tra caverne e corsi d’acqua, superando ostacoli grandi e piccoli, calandoci con robuste corde, scalando con la forza delle mani e l’appoggio incerto dei piedi pareti rocciose che a prima vista sembravano invalicabili. Abbiamo affrontato piccoli torrenti che a noi sembravano oceani, splendide piscine naturali, scalando vette e affrontato discese a prima vista proibitive.

Il più attrezzato di noi vantava un esercizio fisico quotidiano veramente incredibile: la salita e la discesa delle tre rampe di scale che ogni giorno ci separano dall’agognato divano del nostro soggiorno! Eppure a Verzino abbiamo combattuto e vinto i timori e la paura, l’ansia e la preoccupazione di fallire, scoprendo le risorse nascoste dei nostri muscoli che hanno risposto incredibilmente bene a sfide che a noi sembravano più assurde della sfida che il 29 maggio 1953 affrontarono due esperti alpinisti, il neozelandese Edmund Hillary e lo sherpa nepalese Tenzing Norgay, che raggiunsero la vetta dell’Everest, la montagna più alta al mondo.

Saranno stati i bravissimi accompagnatori-guide-angeli custodi che ci hanno accompagnato, difeso e protetto da ogni insidia; sarà stata la devozione a Natuzza di qualcuno del gruppo, fatto sta che al nostro passaggio ogni ostacolo ha ceduto e addirittura le acque dei torrenti si sono aperte sul modello di Mosè che stese il suo bastone, e il mar Rosso venne separato in due parti da Dio. Ecco, noi come gli israeliti dell’epoca, abbiamo camminato sulla terra asciutta, sulle rocce, fra i dirupi e poi attraversato le acque senza paura. Avessimo imparato a volare al buio come la colonia di pipistrelli più grande d’Italia (ma noi ne abbiamo sentito solo qualcuno) avremmo decisamente sudato di meno.

I cinque chilometri del percorso li abbiamo fatti tutti, benché provati se non distrutti dalla fatica e dal sudore, per poi scoprire percorsi incantevoli fatti di caverne di ogni misura e dimensione, abbiamo strisciato tra acqua e fango per andare alla scoperta dei colori meravigliosi di alcune volte così fantastiche da somigliare alla Cupola di San Pietro (esagero)!

Alla terza ora di cammino la comitiva è smarrita, incredula, felice per tutto quello che ha visto, per avere compreso cosa c’è sotto i nostri piedi, per avere scoperto una storia millenaria di acque impetuose e rocce indescrivibili. Tutto allo stato primordiale, tra percorsi d’ acqua purissima che formano cascate e piscine naturali dall’indescrivibile bellezza.

Non so se eravamo più sconvolti per l’avventura o per l’incredibile spettacolo che abbiamo visto e toccato con sincera ammirazione. Tanto che ora possiamo raccontare a tutti di quell’architettura che sembra riemergere dall’incanto più profondo di una storia leggendaria. Per poi descrivere quei 5 chilometri di grotte carsiche incastonate tra rocce maestose e sentieri imprevedibili di uno dei percorsi sotterranei più lunghi d’ Europa.

Dopo ore di smarrimento tra fatica e bellezza, ci avviciniamo lentamente all’uscita, un buco tanto in alto da sembrare irraggiungibile. Non so perché, ma mentre mi accingevo verso la risalita mi è venuto in mente un verso che chiunque nel mondo avrà certamente letto o sentito almeno una volta: «E quindi uscimmo a riveder le stelle». È l'ultimo endecasillabo dell'Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri. Solo che noi uscivamo da un paradiso.