VIDEO | Nove frazioni compongono quello che si dice un "comune sparso". Oggi un piccolo paese nella Valle del Savuto, ieri uno dei centri più rinomati del Regno di Napoli, culla di storie antichissime e di vicende legate a personaggi da romanzo
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È quello che si dice un “comune sparso”. Senza un centro, ma con nove centri diversi, tanti quanti sono le frazioni che lo compongono. Ognuna con la sua chiesa – o le sue chiese – e la sua piazza. Scigliano è oggi un paesino di 1.100 abitanti nella Valle del Savuto, in provincia di Cosenza. Un piccolo scrigno di storie da scoprire al di là dell’autostrada che attraversa la Calabria.
Ce n’è una, antichissima, che parla di soldati e condottieri, cavalli ed elefanti. Di un lungo viaggio che comincia in Africa, attraversa la Spagna, i Pirenei e le Alpi e qui trova il suo epilogo. Di una conquista mancata. E di un ponte. Si chiama Ponte di Annibale. Costruito tra il 131 e il 121 a.C., è uno dei ponti più antichi d’Italia nonché monumento storico nazionale. Era parte della via Popilia che collegava Reggio Calabria a Capua. Furono gli stessi Romani che lo avevano realizzato a distruggerlo per impedire la fuga dei Cartaginesi verso il mare dopo la loro sconfitta, ma i genieri del generale africano lo rimisero in piedi per consentire il passaggio delle truppe. È detto anche Ponte di Sant’Angelo. Poco più su si trova infatti una piccola chiesetta dedicata a questo santo che si narra abbia sconfitto, proprio su questo ponte, il diavolo.
Ha un abitato che esplode in tutte le direzioni Scigliano. Un’area circoscritta che in passato si allargava invece alle terre confinanti, oggi comuni autonomi. Era una delle città più rinomate del Regno di Napoli, ambita da signori che più volte cercarono di assoggettarla al proprio dominio.
Nel 1600 infatti il governo spagnolo, che regnava sull’Italia meridionale, per risollevare le sue finanze stremate dalla Guerra dei Trent’anni aveva avviato una politica che prevedeva la vendita ad aristocratici dei comuni del demanio regio. Nel 1631 il viceré di Napoli concesse i diritti su Scigliano al principe Cesare D’Aquino. La vicenda è narrata in un poemetto dialettale di Flaminio Cimino, in cui è scritto che gli abitanti furono venduti “come un mazzo di cipolle”. Ma i cittadini non si arresero, si autotassarono e pagarono il riscatto, che ottennero nel 1636.
Agli inizi del 1800, con la fine del feudalesimo, il vasto territorio di Scigliano venne smembrato. I confini del comune si restrinsero sensibilmente. Di grande, però, resta l’eredità delle vicende che hanno attraversato questo luogo con i suoi protagonisti. Spicca, tra questi, un personaggio da romanzo, così spietato da non sembrare neanche vero.
Passa anche da qui, infatti, la storia del brigantaggio in Calabria. Perché qui nacque, nel 1782, Paolo Mancuso, noto alle cronache dell’epoca come Parafante. Fu uno dei briganti più temuti e violenti, nei documenti di quegli anni sono riportati gli atti criminali di cui si macchiò: torture, mutilazioni e decapitazioni. Si legge che spesso facesse sbranare le vittime dai suoi cani e che in almeno un caso fu lui stesso a strappare a morsi mezza faccia al malcapitato. Tra gli episodi di cui resta notizia c’è quello dell’uccisione del tenente Filangieri, gentiluomo di Cosenza che venne fatto bollire in una caldaia: le sue carni furono poi date in pasto ai cani.
È un libro da sfogliare Scigliano, capitolo dopo capitolo, tra imprese leggendarie e lotte di paese, indomiti condottieri e feroci criminali. Un racconto che cattura man mano che ci si addentra, partendo da quel ponte millenario custodito in una valle, nascosto tra gli alberi come un tesoro prezioso da scoprire, esperienza indimenticabile da riportare indietro con sé.