Da anni se ne parla come di una suggestione affascinante, buona più per i romanzi che per la realtà. Ma stavolta, dopo la morte di Papa Francesco, l’idea di un pontefice africano – un “Papa nero”, come molti titolano semplificando – è meno remota di quanto si creda. Non si tratta solo di un sogno a occhi aperti, né di una suggestione cinematografica come quella raccontata dal film Il Conclave, dove un cardinale africano sembrava a un passo dal diventare vescovo di Roma. È la stessa geografia del Collegio cardinalizio a dire che oggi il mondo non europeo è più forte che mai. E l’Africa, in particolare, avanza.

Nel Conclave del 2013, che elesse Bergoglio, i cardinali africani erano 11. Oggi sono 18. Sempre pochi rispetto al peso numerico di Europa e Americhe, certo. Ma la loro presenza cresce, così come il loro carisma. E soprattutto cresce la consapevolezza che, dopo un Papa latinoamericano come Francesco – scelto proprio per rompere una millenaria egemonia europea –, un nuovo segno forte, ancora più dirompente, potrebbe arrivare dal Sud del mondo.

Tra i nomi che circolano con maggiore insistenza c’è quello di Peter Turkson, ghanese, 76 anni, per anni volto progressista della Chiesa sui temi sociali e ambientali. Già tra i favoriti dodici anni fa, oggi torna con chances accresciute, forte di una figura carismatica e di una lunga esperienza nella Curia romana.

Poi c’è Robert Sarah, guineano, 79 anni, voce invece molto più conservatrice, vicino ai settori tradizionalisti della Chiesa, tanto da essere considerato una sorta di "antitesi africana" al modello di Bergoglio.

E negli Stati Uniti spunta il nome di Wilton Gregory, 76 anni, arcivescovo di Washington, il primo cardinale afroamericano della storia. Moderato, attento ai diritti civili, ha chiesto scusa alla comunità LGBTQ+ a nome della Chiesa: un gesto di apertura che potrebbe renderlo un candidato perfetto per chi volesse proseguire sulla linea del "pontificato della misericordia" inaugurato da Francesco.

La scelta di un papa nero non avrebbe il significato di “riscatto” che ebbe nel 2008 l’elezione di Barack Obama a presidente degli Stati Uniti, rompendo il muro secolare del razzismo istituzionale. La Chiesa cattolica, con la sua struttura universale e missionaria, non ha mai – almeno in linea di principio – chiuso le porte in base al colore della pelle. Ma sarebbe comunque un segnale dirompente, simbolico e reale insieme: il riconoscimento di quanto il cristianesimo viva, oggi, più nei Sud del mondo che nei palazzi della vecchia Europa.

Del resto, già nel 2004 Joseph Ratzinger, ancora cardinale, lo aveva detto chiaramente: «Siamo pronti per un Papa di colore». E in più occasioni aveva parlato dell’Africa come del “polmone spirituale dell’umanità”. Non era retorica. E non sarebbe solo un gesto di modernità: molti tra i cardinali africani sono in linea con una visione più “ortodossa” della dottrina cattolica, cosa che potrebbe rassicurare l’ala più conservatrice del Sacro Collegio. In poche parole, il Papa nero potrebbe essere, paradossalmente, il ponte tra due anime diverse della Chiesa: la spinta al cambiamento e il bisogno di radici.

Anche la cultura popolare ha colto da tempo questa possibilità. Il film Il Conclave, diretto da Edward Berger, raccontava di un'elezione in bilico tra tradizione e rivoluzione. Nel film, il cardinale favorito era proprio un africano, carismatico e progressista. E oggi, con l’eco di quella finzione che si intreccia alla realtà, molti si chiedono se davvero la profezia possa avverarsi.

Non è solo il cinema a suggerirlo. C’è chi cita persino la profezia di Malachia, il vescovo irlandese medievale che avrebbe previsto, con oscura precisione, una lista di 112 papi e che descrisse l'ultimo come "Petrus Romanus". Un indizio? Una coincidenza? Sta di fatto che il nome di Peter Turkson – Peter come “Pietro” – fa brillare gli occhi agli appassionati di profezie.

Al netto di suggestioni e simbolismi, resta la politica vaticana, che raramente si lascia guidare solo dai sogni. Il Conclave sarà, come sempre, il frutto di mille equilibri tra continuità e cambiamento, tra esigenze spirituali e logiche geopolitiche. I cardinali elettori, convocati a Roma, porteranno con sé le istanze di continenti interi, le ferite delle guerre, i drammi delle migrazioni, le sfide ambientali, le speranze di rinnovamento e di riforma. E dovranno scegliere una guida capace di parlare al mondo.

Un Papa africano potrebbe essere la risposta più potente a tutto questo: il segno che la Chiesa cattolica sa guardare davvero oltre i confini del potere tradizionale. Non resta che attendere il Conclave, le prime votazioni, il silenzio della Cappella Sistina, il fumo che si alza. E chissà che stavolta, davvero, non sia un Papa nero a cambiare ancora una volta il volto della Chiesa.