Intanto da Palazzo Chigi fanno sapere che l'esecutivo «intende rispettare e ribadire con decisione gli impegni Nato. Altrimenti verrebbero meno gli oneri presi dalla maggioranza»
Tutti gli articoli di Italia Mondo
PHOTO
Chi si aspettava il bluff è rimasto deluso. Il braccio di ferro tra il premier Mario Draghi e il suo predecessore a Palazzo Chigi, il leader del M5S Giuseppe Conte, non si è risolto con una pacca sulle spalle ma ha visto un preoccupante muro contro muro che torna a far suonare, alto, l'allarme sulla tenuta del governo. Tanto che l'ex numero uno della Bce, dopo il faccia a faccia durato circa un'ora e mezzo, è salito al Quirinale, per informare il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella sul dossier spese militari, scoglio piombato sulla strada accidentata della sua maggioranza.
Uscendo da Palazzo Chigi l'"avvocato del popolo" aveva lasciato intendere di aver tenuto il punto con Draghi, «in modo chiaro, franco e sincero», ribadendo al presidente del Consiglio di non mettere «in discussione gli accordi con la Nato, ma l'aumento delle spese militari ora sarebbe improvvido» perché «le priorità degli italiani sono altre», ha scandito Conte a favore di telecamere, non dissimulando un certo nervosismo quando, di fronte all'insistenza di una cronista, ha alzato la voce per portare a termine il suo ragionamento. Che a Draghi, però, sembra non essere andato giù. E così a stretto giro arriva la risposta, dritta e sferzante, di Palazzo Chigi. Che lascia intendere come il presidente del Consiglio abbia parlato con altrettanta chiarezza e sincerità. «Il governo intende rispettare e ribadire con decisione gli impegni Nato sull'aumento delle spese militari al 2% del Pil. Altrimenti verrebbero meno gli impegni presi dalla maggioranza». Tradotto: o così o viene giù tutto. Non solo.
Da Palazzo Chigi ci tengono a rimarcare i numeri, richiamando quelli messi a segno dai due governi Conte sul fronte difesa. «Il bilancio della difesa nel 2018 era sostanzialmente uguale al 2008. Nel 2018 si registravano circa 21 mld, nel 2021 24,6 miliardi (un aumento del 17 per cento): questi sono i dati del Ministero della difesa nei governi Conte. Tra il 2021 e il 2022 il bilancio della difesa sale invece a 26 miliardi: un aumento del 5,6 per cento», i numeri snocciolati dallo staff di Draghi.
Nel pomeriggio, in commissione Esteri al Senato, l'incidente sull'ordine del giorno targato Fdi che impegna il governo a raggiungere la soglia del 2% delle spese militari. Il governo lo accoglie senza passare dal voto, che M5S e Leu avevano chiesto a gran voce. I senatori grillini «erano pronti a respingerlo», assicura Conte dopo l'incontro con Draghi, quando su Palazzo Chigi cala un vento gelido. A chi gli domanda se ne arriveranno di nuovi targati M5S ma di segno opposto, Conte risponde deciso: «Adesso parleremo con i senatori. Le nostre priorità sono chiare, faremo tutti gli atti conseguenti».
In mattinata ai cronisti l'ex premier aveva assicurato che il decreto Ucraina «non c'entra nulla con la corsa al riarmo e per questo lo voteremo in Senato, con o senza fiducia. Non votiamo il provvedimento a cuor leggero, ma per senso di solidarietà verso chi sta difendendo il proprio paese». Anche sul Def, dopo l'incontro con il presidente del Consiglio, Conte lascia intendere che la questione dell'asticella al 2% non si porrà, «ragionevolmente - dice - non ci sarà scritto qualcosa del genere, ma questo non toglie che è una prospettiva che dobbiamo affrontare».
Con il premier «continueremo il confronto», risponde Conte ai cronisti che gli domandano come se ne esca lasciando intendere che la partita tutto è tranne che chiusa. La conferma arriva dopo pochi minuti da Palazzo Chigi, quando il governo sembra tornare improvvisamente a tremare. Del resto Draghi lo aveva detto chiaro qualche giorno prima che scoppiasse la guerra in Ucraina, in un incontro di fuoco con i capidelegazione: avanti se ci sono le condizioni, non si lascerà logorare, non intende in alcun modo tirare a campare. Anche in quell'occasione era salito al Quirinale per un confronto con Sergio Mattarella. La conferma che, da allora, nulla è cambiato nonostante i venti di guerra arriva da quelle righe stringate ma durissime di Palazzo Chigi. Sull'impegno Nato il premier non retrocederà di un passo.