Cerimonia solenne, ieri, nella cattedrale di Agrigento, per la beatificazione del giudice Rosario Angelo Livatino ucciso dalla mafia nel 1990. «Sarà commemorato ogni 29 ottobre», riferisce Vatican News.

Le parole del Papa

Papa Francesco al termine della preghiera del Regina Coeli ha commentato così: «È stato beatificato Rosario Angelo Livatino, martire della giustizia e della fede nel suo servizio alla collettività come giudice integerrimo che non si è lasciato mai corrompere. Si è sforzato di giudicare non per condannare ma per redimere. Il suo lavoro – ha aggiunto il Pontefice - lo poneva sempre sotto la tutela di Dio, per questo è diventato testimone del Vangelo, fino alla morte eroica. Il suo esempio sia per tutti, specialmente per i magistrati, stimolo a essere leali difensori della legalità e della libertà».

Chi era Rosario Livatino

Primo e unico figlio di Vincenzo Livatino e Rosalia Corbo, Rosario Angelo Livatino nacque a Canicattì, Provincia e Arcidiocesi di Agrigento, il 3 ottobre 1952 e fu battezzaro il 7 dicembre successivo nella locale chiesa parrocchiale di San Pancrazio. Terminati gli studi ginnasia liliceali dal 1958 al 1971, si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza presso l’Università di Palermo, dove il 9 luglio 1975 conseguì la Laurea con il massimo dei voti.

Sulla tesi scrisse il suo motto: “Sub tutela Dei”. Superato il concorso per entrare in Magistratura, fu impiegato presso l’Ufficio del Registro di Agrigento. Dal 18 luglio 1978 lo troviamo attivo per il tirocinio presso il Tribunale di Caltanissetta. Il 24 settembre 1979 gli vennero conferiti gli impegni giurisdizionali con l’immissione in ruolo e con l’incarico di Uditore giudiziario con funzioni di Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Agrigento.

Il 21 agosto 1989 gli fu affidato l’incarico di Giudice della sezione penale presso lo stesso Tribunale di Agrigento, che egli svolse per poco più di un anno. La mattina del 21 settembre 1990, infatti, mentre si recava senza scorta con la sua Ford Fiesta da Canicattì al Tribunale di Agrigento, cadde per mano di un commando di killer mafiosi, agli ordini delle Stiddedi Canicattì e Palma di Montechiaro, di Cosa Nostra, e che odiavano la sua fede e la sua integrità nell’esercizio della giustizia.