Sono 1.250 i medici del Servizio sanitario nazionale che nelle ultime due settimane hanno fatto ritorno dall'Africa per rientrare al loro posto negli ospedali della Lombardia e del Veneto per fronteggiare l'epidemia da coronavirus.

 

Tra loro anche epidemiologi, virologi e anestesisti, giovani e meno giovani, che nei mesi e negli anni scorsi avevano scelto l'aspettativa dal Ssn per un'esperienza nel continente che più ha bisogno di operatori sanitari. Lo riferisce Don Dante Carraro, direttore del Cuamm, la prima ong italiana ad operare in Africa, a partire dal 1950, e che supporta 23 ospedali locali fornendo formazione, clinica, medici e farmaci. La preoccupazione per la fragile situazione sanitaria africana è forte: «Se il contagio si dovesse diffondere, per il continente sarebbe un'ecatombe», dice Don Dante.

 

E spiega: «Fare diagnosi lì è difficile poichè ogni singolo Paese ha un solo laboratorio nella capitale e non tutte le capitali ce l'hanno. In Africa non ci sono terapie intensive, 4-5 posti letto tra privati a pagamento e pubblici solo nelle singole capitali. Quindi la popolazione non potrebbe essere curata. Inoltre non sono state allestite strutture per la quarantena, a eccezione per l'hub aeroportuale di Addis Abeba dove ce n'è una». «Bisogna solo sperare che il virus non si diffonda - aggiunge - anche se è difficile immaginare che le migliaia di lavoratori cinesi tornati in Africa dalla Repubblica popolare tra dicembre e adesso non abbiano infettato nessuno. Ci saranno morti di cui non si conosce la causa e di cui non si saprà nulla».