Da Ancona giunge la condanna per i genitori di Francesco, il bimbo di 7 anni di Cagli (Pesaro Urbino) morto il 27 maggio 2017 a causa di un'otite batterica bilaterale curata solo con l'omeopatia. Il gup di Ancona Paola Moscaroli ha inflitto loro, con rito abbreviato, una pena (sospesa) di tre mesi di carcere per l'accusa di omicidio colposo aggravato in concorso con il medico Massimiliano Mecozzi al quale si erano affidati per la cura del piccino. Mecozzi, che non ha chiesto riti alternativi, è stato rinviato a giudizio: il processo inizierà il 24 settembre. Secondo l'accusa, sostenuta dal pm Daniele Paci, i genitori furono corresponsabili del decesso del ragazzino, avendo di fatto avallato il tipo di terapia consigliata dal medico, specializzato in omeopatia, di trattare il bimbo solo con presidi omeopatici.

 

Sono trascorsi due anni dalla morte di Francesco, il bimbo di 7 anni morto per una otite batterica bilaterale. L’unica cura a cui era stato sottoposto non era fatta di farmaci, solo omeopatia. I genitori del bambino lo avevano affidato alle cure di un medico pesarese Massimiliano Mecozzi, specializzato in omeopatia. Il bimbo, così hanno raccontato, aveva avuto beneficio dall’omeopatia ed erano preoccupati per i troppi cicli di antibiotici fatti dal piccolo. Il dottore aveva consigliato soltanto prodotti omeopatici, non gli antibiotici che avrebbero invece potuto guarire l’otite poi degenerata invece in encefalite. Inutile il trasferimento d'urgenza da Urbino all'ospedale “Salesi” di Ancona dove il piccolo era arrivato in gravi condizioni: sottoposto a intervento nella notte tra il 23 e il 24 maggio 2017, era deceduto tre giorni dopo.

Il medico Mecozzi, assistito dall'avvocato Fabio Palazzo, sostiene di non aver imposto la cura omeopatica; ma anche l'assenza di un nesso causale tra la sua condotta e la morte. Le condizioni di Francesco, argomenta la difesa, erano state altalenanti, tra miglioramenti e peggioramenti, tanto da non rendere pienamente percepibile la gravità della situazione fino alla degenerazione in encefalite. Padre e madre, aveva fatto presente il difensore, portarono due volte il piccolo in visita dal medico che, secondo loro, in base alle sue competenze avrebbe dovuto capire l'evoluzione negativa della situazione.