VIDEO | L’inchiesta che ha portato alla cattura del capomafia di Castelvetrano, in provincia di Trapani, è stata coordinata dal procuratore di Palermo. Il boss è stato trasferito in una località segreta
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Matteo Messina Denaro è stato arrestato questa mattina dai carabinieri del Ros dopo 30 anni di latitanza. L’inchiesta che ha portato alla cattura del 60enne capomafia di Castelvetrano, in provincia di Trapani, è stata coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dal procuratore aggiunto Paolo Guido.
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Secondo quanto appreso, pare che il boss di Cosa nostra si trovasse ricoverato in una clinica privata di Palermo al momento dell'arresto. Dopo l'arresto, il boss è stato trasferito in una località segreta.
Secondo quanto si è appreso in ambienti della clinica La Maddalena di Palermo, Matteo Messina Denaro, soffriva di tumore al colon e aveva metastasi epatiche per cui si sottoponeva a cicli periodici di trattamenti chemioterapici: il cognome che avrebbe utilizzato è quello di Bonafede.
Messina Denaro era l’ultimo grande boss ancora ricercato dalle forze di polizia. La caccia al più importante e temuto capo mafia italiano è durata circa 30 anni e sono stati coinvolti centinaia di uomini dello Stato. Una latitanza lunghissima iniziata nel 1993, seconda solo a quella di Bernardo Provenzano che era stato ricercato per 38 anni, mentre per Totò Riina era durata 23 anni e avvenuta giusto 30 anni fa, il 15 gennaio 1993.
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Matteo Messina Denaro è stato condannato all’ergastolo per decine di omicidi, per le stragi in cui persero la vita i giudici Falcone e Borsellino e per gli attentati del ’93 a Milano, Roma e Firenze. Figlio del vecchio capomafia di Castelvetrano, in provincia di Trapani, storico alleato dei corleonesi di Totò Riina, era latitante dall'estate del 1993, quando in una lettera scritta alla fidanzata dell'epoca, Angela, dopo le stragi mafiose di Roma, Milano e Firenze, preannunciò l'inizio della sua vita da Primula Rossa.
«Sentirai parlare di me - le scrisse, facendo intendere di essere a conoscenza che di lì a poco il suo nome sarebbe stato associato a gravi fatti di sangue - mi dipingeranno come un diavolo, ma sono tutte falsità».
Nella relazione presentata al Parlamento dalla Direzione investigativa antimafia, il 7 aprile scorso, si metteva in evidenza il grande prestigio di cui godeva il boss di Castelvetrano, ma al contempo uno strisciante malcontento da parte di alcuni affiliati per la pressione dello Stato sul territorio e le difficoltà nel gestire la latitanza del boss.
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Matteo Messina Denaro, si legge nella relazione della Dia, è ancora «la figura criminale più carismatica di cosa nostra e in particolare della mafia trapanese»: «nonostante la lunga latitanza egli resterebbe il principale punto di riferimento per far fronte alle questioni di maggiore interesse che coinvolgono l'organizzazione oltre che per la risoluzione di eventuali controversie in seno alla consorteria o per la nomina dei vertici di articolazioni mafiose anche non trapanesi».
Tuttavia benché "u siccu" continuasse a beneficiare della fedeltà di molti sodali, negli ultimi anni secondo la Dia stava crescendo «uno strisciante malcontento in alcuni affiliati», si legge nella relazione: «insoddisfazione connessa con le problematiche derivanti dalla gestione della lunga latitanza peraltro resa difficile dalle costanti attività investigative che hanno colpito in larga parte la vasta rete di protezione del boss».
«Mi chiamo Matteo Messina Denaro»
I carabinieri del Gis erano già alla clinica Maddalena dove, da un anno, Messina Denaro si sottoponeva alla chemioterapia. Il boss, che aveva in programma dopo l'accettazione fatta con un documento falso, prelievi, la visita e la cura, era all'ingresso. La clinica intanto è stata circondata dai militari col volto coperto davanti a decine di pazienti. Un carabiniere si è avvicinato al padrino e gli ha chiesto come si chiamasse. "Mi chiamo Matteo Messina Denaro", ha risposto.
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Le dichiarazioni del comandante del Ros Angelosanto
Il generale Pasquale Angelosanto, comandante dei Ros commenta a caldo la cattura di Matteo Messina Denaro ad opera del Reparto speciale dei carabinieri. Investigatore conosciuto bene anche in Calabria. Dal 21 settembre 2009 al 29 luglio 2012, infatti, è stato comandante provinciale di Reggio Calabria, dove ha conseguito importanti risultati operativi nel contrasto alla ‘ndrangheta e alle sue proiezioni nazionali e internazionali.
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La gente in strada che applaude i carabinieri che hanno appena portato a termine l'operazione che ha consentito la cattura del latitante numero uno di Cosa nostra, Matteo Messina Denaro. Un’immagine che ricorda il trasferimento in carcere di Giovanni Brusca, forse il più sanguinario killer della mafia, arrestato nel 1996.
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Con l'arresto di Matteo Messina Denaro si assottiglia l'elenco dei latitanti di massima pericolosità facenti parte del "programma speciale di ricerca" del gruppo Interforze. Nella lista del ministero dell'Interno, c'è anche il calabrese Pasquale Bonavota. Il boss di Sant'Onofrio risulta latitante dal 2018 ed è accusato di associazione mafiosa e omicidio aggravato.
Messina Denaro voleva investire in Calabria
C’è anche una recente parentesi tutta vibonese negli affari di Matteo Messina Denaro, il super latitante di Cosa Nostra arrestato oggi. Matteo Messina Denaro era infatti pronto ad investire in un villaggio turistico a Capo Vaticano, con una partecipazione del 33 per cento.
Messina Denaro, l’inchiesta che ipotizza la regia del boss dietro l’omicidio Scopelliti
I siciliani si erano impegnati a riportare la pace tra i clan Reggini impegnati in una guerra di mafia che aveva lasciato sul capo 700 morti; e le famiglie calabresi avrebbero accettato di ammazzare il giudice che non si piegava alle richieste della mafia. Il regista di questo patto criminale sarebbe stato Matteo Messina Denaro, il superboss di Cosa nostra finito in carcere questa mattina dopo 30 anni di latitanza.
La richiesta del 41 bis
Il procuratore capo di Palermo Maurizio De Lucia ha annunciato in conferenza stampa l’intenzione di chiedere l’applicazione delle misure carcerarie più rigide, il 41 bis, per il boss arrestato dopo trent’anni di latitanza, Matteo Messina Denaro.