Il conduttore condivide un episodio personale che illumina l’essenza più profonda del pontificato di Bergoglio. Un sorriso a un bambino, una frase semplice, e il senso più autentico di un uomo che ha saputo toccare credenti e non credenti con la forza della tenerezza e delle piccole cose
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Il mondo saluta Papa Francesco. Lo fanno i capi di Stato, i vescovi, i teologi, i cardinali riuniti in conclave. Ma lo fanno anche — e forse soprattutto — le persone comuni, quelle che Francesco ha voluto raggiungere fin dal primo saluto pronunciato dalla loggia di San Pietro: «Fratelli e sorelle, buonasera». Tra queste voci si leva anche quella di Carlo Conti. E lo fa con una semplicità che somiglia terribilmente a quella del Papa.
Ospite della puntata speciale de La Vita in Diretta, il conduttore ha scelto di raccontare non un discorso, né un gesto clamoroso, ma un piccolo episodio privato che dice molto di più. «Un giorno incontrai Papa Francesco insieme a mia moglie e a mio figlio Matteo», ha ricordato Conti, visibilmente commosso. «Sua Santità si rivolse a mio figlio e gli chiese: "Qual è la tua preghiera preferita?". Matteo ci pensò un attimo e poi rispose: "Il Padre Nostro". E lui, sorridendo, disse: "Anche la mia"».
Un momento minimo, un’interazione di pochi secondi. Ma che ha lasciato un’impronta indelebile nella memoria di una famiglia. In quell’"anche la mia", c’è tutta la pastorale di Francesco: la capacità di abbassarsi, di incontrare l’altro sul terreno più semplice, più umano, più vero. Non servono omelie complesse né definizioni dottrinali. Serve una carezza al momento giusto.
Conti ha voluto ricordare anche altri tratti di Francesco, che ne hanno fatto per lui una figura speciale. «Il nostro Papa amava moltissimo l’energia dei giovani, dei bambini, ma anche dei nonni», ha detto. «Ci ha insegnato tanto con piccoli gesti. Dire ‘per favore’, dire ‘grazie’. L’importanza del sorriso. La gentilezza come forma di forza. E poi quel senso profondo di educazione che comincia dalla famiglia. Cose che oggi sembrano ovvie, ma che purtroppo non lo sono affatto».
Il legame tra Carlo Conti e Francesco non è nato per caso. Durante l’ultima edizione del Festival di Sanremo, il conduttore aveva ricevuto un messaggio dal Papa: un gesto inaspettato che aveva colpito il pubblico e lo stesso presentatore. Ma è alla Giornata Mondiale dei Bambini, che Conti ha avuto l’onore di condurre allo stadio Olimpico, che il rapporto si è fatto più diretto. «Era commovente vederlo tra i bambini. Non parlava loro come un’autorità, ma come un nonno, come un amico. Non c’era nulla di costruito in quel modo di relazionarsi. Era semplicemente autentico».
E proprio da questa autenticità, secondo Conti, derivava la forza rivoluzionaria del pontificato di Francesco. Il conduttore ha spiegato: «Credo che oggi sia una giornata triste per l’umanità, sia per chi crede, sia per chi non crede. Perché Papa Francesco è riuscito a rappresentare qualcosa per tutti. È stato un grande Papa, ma anche un grande uomo. E questo è forse il più bel complimento che si possa fare a chi ha portato il peso della Chiesa sulle spalle in tempi tanto complicati».
Per molti, Jorge Mario Bergoglio è stato il Papa che ha parlato ai cuori. Che ha rimesso al centro la misericordia, la fragilità, l’accoglienza. Che ha rifiutato i palazzi del potere per vivere a Santa Marta, in una stanza spoglia, mangiando alla mensa con gli altri prelati. Che ha chiesto "chi sono io per giudicare?", riscrivendo con cinque parole il rapporto della Chiesa con il mondo moderno. Che ha telefonato ai malati, alle vedove, ai carcerati. Che ha voluto una Chiesa "ospedale da campo", senza veli e senza ori.
Ma per Carlo Conti, resterà anche — e forse soprattutto — quel Papa che sapeva parlare a un bambino senza alcuna retorica. Che sapeva sorridere con il cuore. E che, in un mondo che sembra correre sempre più verso la durezza e l’odio, ha ricordato a tutti il valore di un abbraccio, di una carezza, di una risata condivisa.
«Lo porterò per sempre con me», ha concluso il conduttore. «Perché Francesco ci ha insegnato a essere migliori. E non serviva essere santi per capirlo: bastava essere umani».