Il Pontefice è ricoverato da una settimana al Policlinico Gemelli di Roma per una polmonite bilaterale. Il suo fragile stato di salute invita a riflettere sugli anni del suo pontificato: un'analisi storica che ne ripercorre i momenti chiave, le controversie e le sfide principali
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Papa Francesco
Jorge Mario Bergoglio nasce nella Buenos Aires degli anni Trenta, in una famiglia di immigrati piemontesi. Cresce nel quartiere Flores, un barrio popolare che ospita una umile e colorita comunità di italiani. È qui che inizia a sviluppare la sua sensibilità verso i più deboli, un’attitudine che lo accompagnerà fino al soglio pontificio. Suo padre, Mario, è arrivato dieci anni prima da Genova. Il transatlantico Giulio Cesare è attraccato nel porto bonaerense nel febbraio 1929. Il suo nome è stato registrato insieme a quello di altri centinaia di migliaia di emigranti italiani in cerca di fortuna. Ad attirarli sulle sponde del Rìo de la Plata è stato lo stesso governo argentino che, bisognoso di braccia, incentivava l’immigrazione d’oltreoceano offrendo un biglietto del treno, l’alloggio gratuito per cinque giorni in un sudicio conventillo e la promessa di concedere terra pubblica.
Tuttavia, i pregiudizi nei confronti dei nuovi arrivati si sprecano. La stampa nazionalista e la narrativa argentina fanno a gara nel diffondere lo stereotipo caricaturale del gringo napoletano, il cui nome viene volutamente storpiato in “papolitano”. I liguri, invece, come il padre del futuro Papa, si inseriscono velocemente nel tessuto sociale ed economico della città, influenzando cultura e tradizioni. La Boca, quartiere simbolo dell’immigrazione ligure, è un crocevia di lingue e dialetti. Due passioni accomunano questi emigrati: il tango e il calcio. Nascono squadre come il River Plate ma soprattutto il Boca Juniors, ancora oggi conosciuto con l’appellativo di xeneizes, per l’appunto “genovesi”. Il piccolo Jorge Mario Bergoglio respira questa cultura e si appassiona al calcio nell’oratorio di don Lorenzo Massa, un prete salesiano devoto a don Giovanni Bosco. Su quel campetto di terra battuta, un giorno torna Alfredo Di Stéfano. La «Saeta rubia» (la freccia bionda), prima di trasferirsi in Colombia, ha voluto salutare per l’ultima volta i ragazzini del suo vecchio quartiere. Tra i tanti ragazzini che gli strattonano la giacca per un abbraccio, il più entusiasta è proprio il piccolo Jorge Mario. Quell’incontro sancirà per sempre il suo amore per il fútbol, una passione che non dimenticherà di ricordare in occasione dell’amichevole tra Italia e Argentina, quando dirà a Messi e Balotelli: «Vediamo se qualcuno di voi riesce a fare un gol come quello di Pontoni», il suo mito calcistico.
Vogliamo i Colonnelli
Lasciato l’oratorio, il giovane Jorge Mario si diploma come perito chimico. Per mantenersi agli studi, lavora come buttafuori in un locale malfamato di Córdoba dove fino a notte fonda si suona e si balla il tango di Astor Piazzolla, Osvaldo Pugliese e naturalmente del maestro Carlos Gardel, il compositore che a detta di molti giorno dopo giorno migliorava le proprie esibizioni canore, «cada día canta mejor». Ma Bergoglio ha altri piani. È stato da poco folgorato sulla via di Damasco, e per questo motivo lascia la fidanzata e indossa l’abito talare. In poco tempo, il suo noviziato nella Compagnia di Gesù lo porta a indossare i panni di padre superiore.
La strada è tracciata. Anche per l’Argentina. Nel marzo del 1976 un colpo di Stato militare destituisce dalla presidenza Isabela Perón. Il Parse precipita in una delle pagine più oscure della sua storia. Il principale autore del golpe è il tenente generale Jorge Rafael Videla, meglio conosciuto come «l’Hitler della Pampa». Il nuovo comandante in capo avvia il cosiddetto Processo di riorganizzazione nazionale. Smembra i partiti politici, chiude il Parlamento, assume la gestione della Corte di Giustizia, censura stampa e libertà di espressione.
Gli studenti che si ribellano finiscono nei tanti centri clandestini di detenzione sparsi a pochi chilometri dalla capitale. Quello che accoglie più sovversivi è situato all’interno della scuola per la formazione degli ufficiali della marina, l’Esma. In quella che verrà tristemente ricordata come «la Notte delle Matite Spezzate», più di duecento ragazzi per intere settimane verranno sottoposti a indicibili torture e sevizie. Lasciati morire di fame e freddo, bendati, sottoposti a scosse elettriche, pestaggi e stupri.
I torturatori estorcono nomi e indirizzi. Gli oppositori del regime, o presunti tali, vengono prelevati in piena notte dalle loro abitazioni. Una volta sedati, vengono fatti salire a bordo di aerei militari e gettati nell’Oceano Atlantico in pasto agli squali. Sono i cosiddetti «vuelos de la muerte», i voli della morte. Videla è intenzionato a sradicare ogni residuo di sovversione e opposizione, anche all’interno della Chiesa.
Da qualche tempo, molti preti durante le omelie contestano apertamente l’ordine sociale e il capitalismo. Con la Bibbia in una mano e il Capitale nell’altra, spiegano ai fedeli le motivazioni dell’endemica arretratezza economica dell’America latina. È la cosiddetta Teologia della Liberazione. I regimi militari, però, non convengono con questo sovversivo tentativo di dire messa in chiave marxista e minacciano rappresaglie. A farne le spese, su tutti, saranno il sacerdote colombiano Camilo Torres e l’arcivescovo salvadoregno Óscar Romero, assassinato nel bel mezzo di una messa. Bergoglio si tiene a debita distanza da questo movimento.
Anni dopo, Horacio Verbitsky, giornalista argentino con la schiena dritta, denuncerà la connivenza del Papa e della Chiesa con la dittatura di Videla. Nel libro L’isola del silenzio, l’autore afferma che tra i diecimila desaparecidos, scomparvero due gesuiti a causa della denuncia del futuro Papa Francesco. È vero il contrario. Bergoglio si mosse nell’ombra per salvare preti e laici dai torturatori, pur non pronunciando mai pubblicamente parole di condanna nei confronti di Videla. Condanna che, ricordiamo, avrebbe sicuramente pagato a prezzo della vita. Un’innocenza confermata poi dal presidente della Corte Suprema argentina e dal premio Nobel per la Pace Adolfo Pérez Esquivel, il quale ha difeso Bergoglio affermando che «non è mai stato un collaboratore del regime».
I due papi
Esiste un detto all’interno della Chiesa che dice: «Dio corregge un Papa dando al mondo un altro Papa». La sera del 13 marzo 2013, Jorge Mario Bergoglio si affaccia dalla loggia di San Pietro come nuovo Papa. È il primo Pontefice latinoamericano della storia. Il primo non europeo negli ultimi 19 secoli. Nonché il primo gesuita. Saluta il mondo con un semplice «Buonasera». Una scelta di rottura rispetto alla solennità dei suoi predecessori, che segna fin da subito lo stile del suo pontificato.
Il rapporto con il Papa emerito Benedetto XVI rimarrà per molto tempo al centro dell’attenzione mediatica. Bergoglio ha sempre rispettato il suo predecessore, sottolineando il valore della sua decisione di dimettersi. Tuttavia, il dualismo tra le due visioni della Chiesa – una conservatrice e l’altra aperta al cambiamento – ha alimentato tensioni nella Curia. Le dimissioni di Ratzinger hanno aperto un precedente nella storia della Chiesa, strumentalizzate dai critici di Francesco, che vedono in lui un leader troppo progressista rispetto all’ortodossia tradizionale. Nonostante ciò, Papa Francesco ha sempre difeso il suo predecessore e ha affermato: «Ho sentito che alcuni sono andati da Benedetto a lamentarsi di me. Lui li ha cacciati via con il miglior stile bavarese, dicendo: "C’è un solo Papa”».
Chiamatemi Francesco - Il Papa della gente
Sin dall’inizio del suo pontificato, Papa Francesco trasforma i suoi viaggi apostolici in uno strumento chiave della sua missione pastorale. La sua è una Chiesa che non rimane chiusa nelle sue mura, ma esce per incontrare i fedeli, abbracciare gli ultimi e toccare le sofferenze del mondo. Il primo viaggio a Lampedusa è di fatti un gesto simbolico. In un’Europa avviluppata sulla questione migratoria, Francesco si inginocchia davanti ai resti dei barconi, getta una corona di fiori in mare e pronuncia parole che scuotono le coscienze e le responsabilità politiche: «Chi ha pianto per questi morti?».
Dopodiché salpa per l’Africa e l’Asia. Raggiunge le più lontane periferie del mondo cattolico. Ad Abu Dhabi firma un documento epocale sulla Fratellanza Umana, un manifesto di dialogo tra cristiani e musulmani che segna una svolta nei rapporti tra le due fedi. Le sue missioni tracimano persino nella geopolitica. In Iraq incontra l’ayatollah Al-Sistani, guida spirituale dell’Islam sciita. È il segnale di un dialogo interreligioso che per Francesco non è un’utopia, ma un’esigenza storica. Il Pontefice cammina tra le rovine di un paese devastato dalla guerra, dal terrorismo e prega in ginocchio per le sue vittime. Questi pellegrinaggi non sono semplici tappe istituzionali. Sono viaggi dove il Papa si fa testimone delle ferite del mondo, dove i suoi gesti valgono più delle parole. Non si tira indietro davanti a nessuno, porta la sua Chiesa nei luoghi dimenticati e, nonostante la salute fragile, ripete: «Bisogna toccare le ferite per curarle».
L’apertura (apparente) ai gay e la reazione delle frange progressiste
Uno dei momenti più discussi del pontificato di Francesco arriva durante una conferenza stampa sul volo di ritorno dalla Giornata mondiale della gioventù in Brasile, il 29 luglio 2013. Interpellato sulla “lobby gay” in Vaticano, il Papa pronuncia una frase storica ma controversa: «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?». Parole che rimbalzano sui media globali, interpretate come un’apertura rivoluzionaria. Tuttavia, per molti attivisti LGBTQ+, quella frase suona più come una concessione paternalistica che come una reale apertura. Il giornalista e scrittore Aldo Busi reagisce con un commento al vetriolo: «La misericordia... ma che se la metta nel culo! Gli omosessuali non hanno bisogno della sua misericordia. D’altra parte è un prete, è un gesuita, non può uscire da questi schemi in cui un pappone ispirato si inventa e impone un peccato per darsi il potere di perdonarlo e intascare la penitenza dovuta».
Secondo Busi, la posizione di Francesco è solo un’operazione di marketing per ammorbidire il linguaggio, senza modificare la sostanza. La Chiesa considera l’omosessualità “oggettivamente disordinata” e il matrimonio gay inaccettabile. Negli anni successivi, Bergoglio ha espresso posizioni più concilianti, ammettendo che i governi potrebbero riconoscere le unioni civili per garantire diritti agli omosessuali. Ma per benedire le coppie dello stesso sesso, il Vaticano ha ribadito con un documento ufficiale del 2021 che «Dio non può benedire il peccato».
Conclusione
Il pontificato di Papa Francesco si inserisce in un’epoca di cambiamenti per la Chiesa cattolica e il mondo. La sua elezione nel 2013 ha segnato un punto di svolta: per la prima volta un Papa gesuita, sudamericano e che ha scelto il nome Francesco, evocando il poverello di Assisi, simbolo di umiltà, pace e attenzione agli ultimi. Fin dall’inizio, Bergoglio ha cercato di imprimere una nuova direzione alla Chiesa, proponendo un modello di spiritualità vicino alle persone, un’istituzione meno centrata sul potere e più sull’essenzialità del messaggio evangelico. Il suo stile semplice e diretto, il rifiuto di simboli del lusso pontificio e la sua insistenza sulla “Chiesa povera e per i poveri” hanno conquistato milioni di fedeli, ma hanno anche suscitato resistenze e opposizioni, soprattutto negli ambienti conservatori del Vaticano.
Negli anni ha promosso riforme strutturali, a partire dalla Curia romana, ha affrontato il problema della pedofilia nel clero, ha riformato il Codice Penale vaticano e ha riorganizzato lo IOR, la banca vaticana. Ha ampliato il ruolo dei laici, in particolare delle donne, nella gestione della Chiesa e ha incoraggiato maggiore collegialità nel governo ecclesiastico. Tuttavia, alcune riforme hanno incontrato forti resistenze, apparendo incompiute.
Ha promosso un’idea di Chiesa inclusiva e aperta, cercando il dialogo con il mondo contemporaneo su temi controversi come il ruolo delle persone LGBTQ+, la famiglia, l’ambiente, le migrazioni e la giustizia sociale. Fratelli tutti e Laudato si’ sono diventati testi di riferimento per i cattolici e chiunque difenda i diritti umani e la casa comune.
La figura di Papa Francesco rimane divisiva. È amato e seguito dalle masse, soprattutto nei paesi del Sud del mondo, ma criticato da ambienti ecclesiastici tradizionalisti e fazioni politiche. Le sue posizioni sono viste come troppo progressiste o troppo caute. Il suo atteggiamento su aborto, celibato sacerdotale e ruolo delle donne nella Chiesa non ha segnato rotture definitive con il passato, lasciando aperto il dibattito. Si aggiungono le polemiche sul suo passato in Argentina durante la dittatura militare, un nodo che suscita discussioni e interpretazioni contrastanti. La sua opposizione alla Teologia della Liberazione e le accuse di un atteggiamento ambiguo verso il regime di Videla rimangono un’ombra nella sua biografia, sebbene molte accuse siano state smentite o ridimensionate.
Sul piano internazionale, Francesco si è distinto come un leader morale globale, impegnandosi per la pace, il dialogo interreligioso e la difesa dei più deboli. Ha visitato zone di guerra, denunciato ingiustizie sociali e cercato di essere un punto di riferimento in un’epoca di crisi economiche, guerre e pandemie. L’immagine della sua solitaria preghiera in Piazza San Pietro, nel marzo del 2020, rimarrà tra le icone del XXI secolo. Negli ultimi anni, i problemi di salute hanno reso evidente la sua fragilità fisica, portando molti a chiedersi se possa dimettersi come Benedetto XVI. Ma lui ha sempre ribadito: “Si governa con la testa, non con il ginocchio”. Resta da chiedersi quale sarà l’eredità di Papa Francesco. È riuscito a cambiare la Chiesa o il suo pontificato sarà ricordato come una stagione di speranze incompiute? La storia darà la sua risposta. Il primo Papa venuto “quasi dalla fine del mondo” ha segnato un’epoca, lasciando un’impronta duratura.