O.J. Simpson, protagonista di un clamoroso processo che divise l'America in colpevolisti e innocentisti e lo rese il simbolo del femminicidio e di discriminazioni razziali, è morto a 76 anni dopo una battaglia contro il cancro.

The Juice, com'era conosciuto negli anni d'oro quando indossava la maglia dei San Francisco 49ers, fu scagionato nel 1995 per mancanza di prove dall'accusa di aver ucciso l'anno prima l'ex moglie Nicole Brown e lo spasimante di lei, Ronald Goldman. Durato mesi, il "processo del secolo" fu il primo dell'era Cnn e tenne milioni di spettatori incollati alla rete all news a partire dalla drammatica fuga al rallentatore dell'accusato - l'amico d'infanzia Al Cowlings al volante della Ford Bronco e lui dietro con una pistola puntata alla testa e le foto dei figli in mano - seguito da un interminabile corteo di auto della polizia e dagli elicotteri delle tv: uno spettacolo che segnò l'inizio del circo mediatico.

Gli omicidi erano stati per O.J. l'inizio della fine. Nato in uno slum di San Francisco e afflitto da piccolo da rachitismo, Orenthal James Simpson aveva imparato a correre velocissimo con le gang dei teenager del suo quartiere e già al college era diventato una star del football a stelle e strisce. Attore in ruoli da afroamericano in oltre 20 film di Hollywood tra cui "Una pallottola spuntata", "L'inferno di cristallo" e "Cassandra crossing", grazie ai suoi modi di fare gioviali Simpson aveva costruito una fortuna parallela allo sport con le sponsorizzazioni (celebri gli spot per la Hertz) e poi come commentatore sportivo in tv. La favola dell'afroamericano di successo, coronata nel matrimonio con la bionda, bianca e giovanissima cameriera Nicole per cui aveva lasciato la prima moglie, era però andata in frantumi con il brutale delitto nel quartiere posh di Brentwood a Los Angeles.

Tracce di sangue e di capelli e un paio di guanti sul luogo del delitto avevano collegato O.J., già accusato ripetutamente da Nicole di violenza domestica, agli assassini, ma nel 1995 una giuria composta in maggioranza da afroamericani accettò la tesi dei difensori (poi diventati famosissimi) come Alan Dershowitz e Robert Kardashian (il padre di Kim e delle sue altrettanto celebri sorelle), secondo i quali il campione sarebbe stato incastrato da agenti razzisti della polizia di Los Angeles.

Dopo otto mesi di processo, ci vollero appena tre ore per arrivare all'assoluzione che scatenò reazioni contrastanti nel pubblico evidenziando un divario di percezione tra bianchi e neri in materia di razzismo e condotta della polizia: divario che ancora oggi, a quasi 30 anni di distanza, resta attualissimo.

Pur essendo stato scagionato nel processo penale (e dunque non più processabile), O.J. tornò però di nuovo nel 1997 davanti alla giustizia in una causa civile in cui non era più necessaria l'unanimità: una giuria lo ritenne a maggioranza responsabile dei due omicidi e gli ordinò di pagare 33,5 milioni di dollari alle famiglie Goldman e Brown. Snobbato da quanti avevano fatto la sua fortuna, O.J. fu a quel punto costretto, per mantenere il suo tenore di vita, a disperati tentativi di far soldi. Nel 2007 fu arrestato per rapina a mano armata in una stanza d'albergo di Las Vegas ai danni di due venditori di cimeli sportivi che, a suo avviso, gli sarebbero appartenuti. L'ex campione fu condannato a 33 anni di prigione, scontati nove dei quali fu rilasciato