La controversa dichiarazione della premier alla Camera attira da giorni dure critiche. Le parole su Ventotene hanno suscitato numerosi dubbi sulla consapevolezza della presidente del Consiglio di quanto siano profonde le radici storiche, politiche e culturali che legano l’Italia al progetto europeo
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Il discorso della premier Meloni alla Camera dei deputati
Giorgia Meloni vorrebbe mettere in discussione il significato stesso di integrazione europea e di superamento dei nazionalismi, elementi considerati fondamentali per evitare il ritorno ai conflitti e alle divisioni del passato.
Il Sogno
Quasi in risposta a queste polemiche, Roberto Benigni, durante il suo show Il Sogno trasmesso su Rai1, ha invece ribadito il valore del progetto europeo nato dal Manifesto di Ventotene. L’attore e regista ha descritto l’Unione Europea come «la più grande istituzione degli ultimi 5000 anni realizzata sul pianeta Terra dall’essere umano», sottolineando come essa rappresenti un’utopia fondata su due necessari pilastri: pace e unità. Benigni ha descritto l’Europa come: «Il continente più piccolo del mondo che ha acceso la miccia di tutte le rivoluzioni. Un patrimonio comune, un tesoro immenso». E ancora: «La fucina dove sono stati forgiati alcuni fra i più grandi pensieri dell’umanità».
Le radici culturali dell’Europa
Proprio in merito «ai più grandi pensieri dell’umanità», non dobbiamo dimenticare che, nell’antichità, questi ci hanno profondamente distinti rispetto al resto della civiltà umana. L’Europa è la terra dove l’eco delle parole di Aristotele, Platone ed Euclide, hanno contribuito a forgiare e diffondere la cultura europea in tutto il resto del pianeta. Noi tutti dobbiamo ai greci il meglio della nostra intelligenza, l’acutezza e la solidità del nostro sapere, delle nostre arti e della nostra letteratura. Considerando anche solo un esempio di questa vasta superiorità culturale, un esempio di primissima importanza, è la nascita della geometria. Già ai tempi di Platone, sul frontone della sua Accademia campeggiava il monito: «Nessuno entri, che non sia geometra». Ripescando una felice definizione del commediografo Jean Giraudoux, l’Europa è quella parte del mondo «dove si è più pensato, più parlato e più scritto» nella storia dell’umanità. E l’obiettivo di oggi è quello di rinsaldare il sentimento di appartenenza collettiva alle radici comuni dell’Europa.
Un mondo nuovo
Il Manifesto di Ventotene. Per un’Europa libera e unita, scritto da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, (con il contributo di Eugenio Colorni), fu concepito mentre si trovavano al confino sull’isola laziale. «Per dare alla vita politica una consolidata impronta di libertà, impregnata di un forte senso di solidarietà sociale», l’opera degli oppositori del regime fascista fu redatta e distribuita in maniera clandestina. Ancora oggi, a distanza di più di ottant’anni, conferma la sua immutevole, straordinaria e pulsante attualità. Uno dei testi fondanti dell’Unione europea. Vergato da tre uomini che, ricorda ancora Benigni: «non guardavano alle prossime elezioni, ma alle prossime generazioni». Con il mondo in guerra, l’imperativo era quello di ristabilire l’ordine, ripristinare la fiducia e consolidare la pace. E dunque di unificare l’Europa. Era giunto il solenne momento di passare finalmente dall’ambito dei sogni a quello della realtà, per questa Europa che si ostinava a rimanere un nome, un’idea vaga, sempre desiderata e che restava sempre da creare. Si cominciò dunque a ragionare sulla costruzione di un’Europa attraverso piccoli passi, ovverosia un lento ma costante cammino sulla strada dell’integrazione. Questo fu anche il disegno della ‘Dichiarazione Schuman’, il primo discorso politico ufficiale in cui comparve il concetto di Unione europea, nella quale vigeva il proposito di salvaguardare la pace «con sforzi creativi».
Europa Europa
Tutto ciò veniva detto e scritto mentre i Paesi europei erano ancora ridotti a un cumulo di macerie e solo in pochi credevano in una possibile ricostruzione materiale e morale del Vecchio continente. Milioni di persone non avevano più un tetto sopra la testa, pativano la fame ed erano afflitti da un pessimismo dilagante. Il sistema dei trasporti era collassato ovunque: in Francia non era rimasto in piedi neppure un ponte tra la Senna e il mare, in Italia il sistema ferroviario quasi non esisteva più, e anche l’Inghilterra era a pezzi. A Manchester, centro industriale fra i più importanti del Regno Unito, si contavano le vittime e le pietre degli edifici distrutti, comprese quelle dello stadio Old Trafford, raso completamente al suolo dalle bombe della Luftwaffe. Il popolo inglese continuava a patire sofferenze immani. Tuttavia, anche nelle ore più buie e dolorose del conflitto, durante le quali i cittadini avevano versato ettolitri di «sudore, lacrime e sangue», come profetizzato da Winston Churchill, i britannici non persero mai la propria fede incrollabile nella vittoria, né la certezza che presto tutti i sudditi del Regno Unito avrebbero vissuto in una società migliore.
La crisi dell’Europa
L’Europa di oggi è tornata un campo di battaglia, di carneficina e di desolazione. Stiamo vivendo una delle sue più violente crisi politiche, economiche e sociali della sua gestazione. Il tutto aggravato, per di più, dalle conseguenze ancora evidenti di una terribile pandemia. Il senso dell’Europa come un’unica casa europea, a cui dopo la Seconda guerra mondiale anelavano i suoi fondatori, forse per qualcuno è svanito. Perché amare una simile Europa, si domanda qualcuno? Non c’è da stupirsi che le forze centrifughe si siano tanto intensificate.
«Non voglio l’Europa!» – dicevano in Gran Bretagna votando la Brexit. Ma come scrive Mikhail Shishkin – uno dei più importanti autori contemporanei, nonché irriducibile oppositore di Vladimir Putin – «Se davvero gli europei non si rendono conto della loro vera ricchezza – libertà, diritti costituzionali, democrazia, separazione dei poteri, una magistratura indipendente, elezioni libere e non fraudolente – allora significa che le cose non gli vanno poi così male». Poi, però, sono arrivati il Covid, le frontiere chiuse, le misure draconiane. E l’Europa, d’improvviso, ha percepito di nuovo sé stessa. Non l’Unione Europea dei colletti bianchi di Bruxelles. Bensì quella che ha fatto quadrato contro la comune minaccia di Putin, per il bisogno di difendere la sua libertà, la sua casa comune, la sua dignità. Infine, quella che ha dimostrato di nuovo solidarietà accogliendo milioni di donne e bambini ucraini.
Sono questi i valori europei, tutto ciò a cui l’Europa non è disposta a rinunciare. Tutto ciò per cui vive. Quell’Europa che per milioni di persone ha rappresentato (e rappresenta ancora) i diritti dell’individuo, il rispetto della dignità umana, la libertà. I valori europei sono l’aria che respiriamo ogni giorno nelle nostre città.
Voci d’Europa
Il Manifesto di Ventotene è un testo da leggere e, soprattutto, da rileggere. Paradossalmente, dovremmo essere grati alla Meloni per le sue incaute osservazioni. Perché ci inducono a riflettere nuovamente sul significato di quelle pagine impresse in un’isola che, all’epoca, simboleggiava la tirannia e la sopraffazione politica. Dobbiamo farlo perché oggi, più che mai, l’Europa ha necessariamente bisogno di risollevarsi e ripensarsi, magari partendo proprio dalle radici della propria storia. A tal proposito consiglierei un’ultima riflessione. Relativa alle parole che Winston Churchill pronunciò durante un celebre discorso che tenne nel settembre del 1946 all’Università di Zurigo. «Questo nobile continente, che comprende nel suo insieme le regioni più ricche e più favorite della Terra, gode di un clima temperato ed uniforme, ed è culla di tutte le grandi etnie del mondo occidentale. Se un giorno l’Europa si unisse per condividere questa eredità comune, allora tre o quattrocento milioni di persone godrebbero di felicità, prosperità e gloria in misura illimitata. Perciò vi dico: lasciate che l’Europa sorga!».