Guarire dalla celiachia sembra essere possibile. É quanto emerso durante il convegno annuale ‘The Future of Celiac Disease’ promosso dall’Aic (Associazione italiana celiachia) che spiega come, in Italia il numero di persone con diagnosi di celiachia si aggira intorno a 200mila, ma in realtà circa 400mila sono i celiaci che non sanno di esserlo perché non hanno ancora effettuato i necessari accertamenti diagnostici.

Lo studio condotto ha portato alla creazione di una nanoparticella contenente glutine che, una volta iniettata nel paziente affetto da celiachia, gli consente di mangiare alimenti come la pasta, la pizza, il pane, i biscotti per due settimane senza effetti negativi. Grazie alla nanoparticella, infatti, il sistema immunitario dei celiaci impara a riconoscere il glutine - complesso proteico che si forma durante l’impasto delle farine di alcuni cereali - come una sostanza non pericolosa e quindi senza bisogno di scatenare le reazioni autoimmuni che danneggiano le pareti dell’intestino.

La celiachia è una malattia autoimmune per lo sviluppo della quale sono necessari due fattori: uno ambientale - il glutine nella dieta - ed uno genetico, cioè la presenza delle molecole DQ2/8 sulla membrana delle cellule del sistema immunitario. Ma solo il 3% delle persone geneticamente predisposte, che consumano glutine, sviluppa prima o poi la celiachia.

Dal 2017, con la revisione dei Livelli essenziali di assistenza (Lea), la celiachia è stata inserita nell’elenco delle malattie croniche invalidanti. Tale collocazione prevede il regime di esenzione sia per tutte le prestazioni sanitarie successive alla diagnosi, sia per gli alimenti “senza glutine specificatamente formulati per i celiaci” (es. pane, pasta, biscotti, pizza, cereali per la prima colazione e alimenti similari) che devono coprire il 35% del fabbisogno energetico totale giornaliero da carboidrati senza glutine.

Se finora la dieta senza glutine è l’unico trattamento scientificamente accettato per le persone affette da celiachia, la sperimentazione clinica condotta dai ricercatori di Northwestern Medicine potrebbe aprire le porte ad una reale cura della malattia autoimmune, senza dover ricorrere necessariamente ad alimenti gluten-free.