Si potrebbe discutere a lungo dell’opportunità di mettere a capo della Comunicazione Istituzionale della Regione Lazio un ex terrorista nero di Terza Posizione, organizzazione di estrema destra bandita come eversiva dopo la strage di Bologna del 1980, arrestato in Inghilterra nell’89, dove ha scontato sei mesi in un carcere di massima sicurezza prima di decidere di tornare in Italia ed essere condannato a cinque anni e mezzo per associazione sovversiva e banda armata, che ha passato tre anni a Rebibbia per poi diventare frontman di un gruppo musicale chiamato 270bis, come l’articolo del codice penale sulle associazioni eversive, che cantava col braccio teso canzoni inneggianti a Mussolini, cognato dell'ex Nar Luigi Ciavardini, condannato in via definitiva per la strage alla stazione del 2 agosto 1980.

Ed è arrivato questo weekend il momento in cui la scelta di Marcello De Angelis ha messo in imbarazzo, senza sorprese, il governo Meloni. L’occasione è stata proprio la commemorazione della strage che fece 85 morti e 200 feriti nella sala d’attesa di seconda classe della stazione di Bologna, alle 10.25 del 2 agosto 1980, per cui sono stati condannati in via definitiva i fondatori dei Nuclei Armati Rivoluzionari Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini detto Gengis Khan, marito della sorella di De Angelis, come esecutore materiale.

Le parole di De Angelis sulla strage di Bologna

«So per certo che con la strage di Bologna non c'entrano nulla Fioravanti, Mambro e Ciavardini.  Non è un'opinione: io lo so con assoluta certezza - aveva scritto sabato sul suo profilo Facebook Marcello De Angelis - Lo sanno tutti: giornalisti, magistrati e 'cariche istituzionali'; e se io dico la verità, loro, ahimè, mentono. Dire chi è responsabile non spetta a me, anche se ritengo di avere le idee chiarissime in merito nonché su chi sia responsabile dei depistaggi. Il 2 agosto è un giorno molto difficile per chiunque conosca la verità». 

Le dichiarazioni di De Angelis, giornalista ed ex parlamentare del PdL e Alleanza Nazionale, hanno scatenato le polemiche delle opposizioni, dell’Anpi e dell’associazione dei parenti delle vittime, per il tentativo di sovvertire ancora la verità giudiziaria, ma anche perché sono un attacco frontale al presidente della Repubblica Mattarella, che proprio in occasione della commemorazione per i 43 anni dalla strage aveva ribadito che «la matrice neofascista della strage è stata accertata nei processi», mentre De Angelis continua ad accusare le «massime cariche dello stato» di diffondere bugie.

Rocca: «De Angelis parla a titolo personale, valuterò»

Già ieri voci dalla Regione Lazio lasciavano trapelare che il Responsabile della Comunicazione avesse rassegnato le dimissioni al presidente Francesco Rocca, che si dice pronto a valutare il da farsi, ma non avrebbe preteso che il fedelissimo De Angelis si faccia da parte: «Marcello De Angelis ricopre un ruolo tecnico che nulla a che fare con indirizzo politico Regione, ha parlato a titolo personale - ha dichiarato il presidente della Regione Lazio - Si è espresso sulla sua pagina Facebook da privato cittadino e non nella sua carica istituzionale. Il rispetto per le sentenze non esime dalla volontà di ricerca continua della verità, specialmente su una stagione torbida dove gli interessi di servizi segreti, apparati deviati e mafia si sono incontrati. Essendo il dialogo il faro del mio operato, valuterò con attenzione nei prossimi giorni il da farsi, solo dopo aver incontrato Marcello De Angelis». Rocca non si sbilancia, ma prende le distanze e tira in ballo come al solito la differenza tra ruolo pubblico e idee private, mentre Lega e Forza Italia premono perché scarichi ufficialmente l’imbarazzante collaboratore. Fratelli d’Italia si è già smarcato chiarendo che De Angelis non è iscritto al partito, mentre Palazzo Chigi non se ne occupa perché la questione «non è nazionale, ma locale».

L'imbarazzo di Meloni

Giorgia Meloni non ha chiesto ufficialmente le dimissioni di De Angelis, che vede come una concessione alle richieste del centrosinistra, ma le starebbe aspettando. La sua posizione in questi giorni era già nell’occhio del ciclone. Meloni non solo non è andata a Bologna per la commemorazione, ma ha parlato della strage genericamente come atto di terrorismo per cui si cerca ancora verità, ignorando totalmente le sentenze che ne hanno accertato la responsabilità neofascista.

Fratelli d’Italia è, come la sua leader, sempre in equilibrio tra partito di lotta e di governo e se importanti esponenti dell’Esecutivo hanno dovuto ammettere pubblicamente la matrice nera dell’attentato, ieri il presidente del Senato La Russa e oggi il ministro dell’Interno Piantedosi, la Meloni di lotta tiene ancora socchiusa la porta per quella parte di elettorato che la segue dal Fronte della Gioventù e coltiva, come dice l’ex segretario del Pd Bersani, una «studiata ambiguità che solo le anime belle non hanno voluto vedere: lasciare aperto il vaso di Pandora delle falsità nere mentre la verità giudiziaria si afferma».

E nel frattempo Marcello De Angelis non solo non ha ritrattato, ma ha addirittura rilanciato paragonandosi a Giordano Bruno, come lui bruciato sul rogo per aver messo in discussione il dogma.

Alemanno loda De Angelis, Bonaccini e Schlein: «Ignobile»

A sostenerlo, non a sorpresa visto che sta per fondare un movimento politico alternativo a FdI, De Angelis ha trovato solo l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, che addirittura ne loda il coraggio. Alemanno sta strizzando l’occhio proprio alla ex destra sociale che non si riconosce più nella “Meloni di Governo”, cercando di accreditarsi come vero erede della fiamma tricolore.

«Ignobile e bugiardo. Venga a dirle a Bologna queste cose. Guardando negli occhi i familiari delle vittime della strage fascista del 2 agosto» ha detto il presidente dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini, a cui fa eco il segretario del Pd Elly Schlein: «Tentativi ignobili di riscrivere la storia, servono dimissioni immediate. Se non riescono a farlo i vertici della Regione Lazio sia la presidente del Consiglio Giorgia Meloni a prendere provvedimenti immediati. È grave che Meloni il giorno della commemorazione non sia riuscita a dire che quella di Bologna sia stata una strage neofascista, sarebbe gravissimo se continuasse a permettere ai suoi sodali di stravolgere la verità processuale. Ponga fine, una volta per tutte, a questa scellerata aggressione alla storia del Novecento».

Meloni al momento si tiene ben lontana dalla questione e non prende posizioni nette, ma, dice il presidente della Regione Rocca, «non è felice».