Altro che sontuosità regali: il Colle sfodera la sua arma segreta, la cucina delle nonne con pedigree istituzionale. Ortaggi di Castelporziano e pesce in crosta di sale per stupire senza sfarzo. Per i reali inglesi a tavola con Mattarella niente pomposità
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Chi si aspettava porcellane d’oro zecchino e trionfi di ananas intagliati, può anche cambiare canale. Per accogliere Carlo III e consorte, il Quirinale ha scelto una linea sobria, da manuale di buone maniere repubblicane: verdure dell’orto presidenziale, spigola in crosta di sale e un’inaspettata caponata in formato haute cuisine. Nessuna ostentazione, nessun effetto Versailles. Piuttosto, il riflesso naturale del padrone di casa Mattarella: essenziale, misurato, profondamente siciliano.
Il risultato? Un pranzo di Stato che più che un’orgia alimentare da diplomazia novecentesca, somiglia a una festa comandata in famiglia, ma con il personale in guanti bianchi e il cerimoniale che gira come un cronografo svizzero.
In cucina, la regia è affidata alla chef Chiara Condoluci, sotto la supervisione dell’executive chef Fabrizio Boca. La missione era chiara: raccontare l’Italia senza urlare, con un piatto che avesse più memoria che presunzione. Ecco quindi l’antipasto vegetariano, i bottoncini di pasta con caponata di melanzane, la regale spigola con contorni di stagione, e per chiudere una torta gelato al fiordilatte con lamponi: una carezza all’apparato digerente e al buon gusto.
Chi ha avuto accesso ai meandri del Quirinale, sa che nulla è improvvisato. Ogni pranzo di Stato è preceduto da uno studio archivistico degno di un’inchiesta giornalistica: chi ha mangiato cosa, in quale occasione, con quali vini e in quale ordine. Una macchina da guerra della diplomazia culinaria, in cui ogni dettaglio — dal tipo di piatto al decanter — è calibrato come una battuta di Sordi in “Tutti a casa”.
“Il servizio sarà ‘alla francese’”, ha spiegato con disciplina monacale Stefano Colantuoni, del settore ospitalità del Quirinale. Significa che nessuno viene servito con piatti già composti, ma che tutto viene offerto su vassoi da cui gli ospiti si servono a piacimento. È la forma più elegante di non mettere in imbarazzo nessuno, e soprattutto di non sbagliare porzione con un re. Nessun pasticcio sul piatto, nessuna mousse con effetto domino. Solo cibo vero, e magari buono.
E poi c’è lui, Re Carlo III, il primo monarca compostabile della storia. Il sovrano ambientalista, il campione del bio, l’uomo che sa distinguere un fertilizzante naturale da un discorso della Truss. La cucina sostenibile, qui, non è marketing: è dialogo tra affinità elettive. Verdure a chilometro zero? Carlo applaude. Cotture leggere? Camilla sorride. Nessuna carne rossa? God save the Quirinale.
Tutto, nel menu, sembra scritto per lui. Dall’omaggio alla Sicilia del Presidente con la caponata, alla torta fiordilatte che pare uscita da una pubblicità vintage del Parmalat. La vera notizia, però, è l’assenza di notizie: nessuno show, nessun colpo di teatro. Solo cucina fatta bene, con una mano gentile e una consapevolezza profonda di ciò che siamo: un Paese che sa raccontarsi anche con un carciofo ben cucinato.
E poi, sì, c’è quel gusto tutto italiano per l’eleganza senza rumore. Il fatto che un sovrano britannico venga accolto con fiori di zucca e ortaggi raccolti dietro casa è, a suo modo, una dichiarazione di stile. E anche una sottile frecciatina a chi, nei palazzi, si illude ancora che il prestigio passi per l’abbondanza.
Il Quirinale, con questa tavola sobria e raffinata, ha detto molto. Su Carlo. Su Mattarella. E, soprattutto, su un’Italia che — quando vuole — sa accogliere con misura, intelligenza e senso del tempo. Altro che effetto royal wedding. Qui, il massimo dell’etichetta è saper servire una spigola al sale senza sembrare di voler vincere MasterChef.