La recensione

Inside Out 2 è una seduta di psicanalisi dal risultato sorprendente

Disney Pixar conquista le platee di tutto il mondo con il secondo capitolo del cartone animato dedicato alle emozioni. La grande protagonista Ansia non delude le aspettative e colpisce duro

70
di Alessia Principe
26 giugno 2024
20:05

Quando è nata quella voce che lascia svegli a fissare il muro per ore, nessuno lo ricorda. Certo in un intervallo compreso tra la prima parola (magari pappa o mamma) e l’ultima frase pensata o detta (Sarò capace? Gli piacerò?) camminando in quella Terra di mezzo in cui l’erba non è più tanto verde e soffice da andarci a piedi scalzi, ma piena di rovi puntuti. 

La sensazione venefica e familiare del disagio, una volta sbocciata in testa non va più via. Continuerà a rintuzzare e suggerire che andrà tutto storto perché quello storto sei tu, impostore che non sei altro; tu, che prima o poi verrai smascherato in un coro di: "Eccolo, ha mentito. Ci ha fatto credere di essere all’altezza e invece no che non lo era".


Una seduta di analisi a luci spente

“Inside Out 2” non è un semplice cartone animato, è una seduta di psicanalisi completa di regressione e pianto liberatorio finale (misto al sollievo perché sui titoli di coda magari si finisce anche di singhiozzare). I bambini, in sala reggono attentissimi un quarto d’ora, poi si distraggono, si divertono a seminare pop corn tra le sedute, si ungono le mani e le magliette, lasciano che Gioia abbia la meglio su Noia, salvo quando la storia prende una piega troppo seria e dà gioco facile alla Stupidera. Il tutto mentre le madri aggrappate alla sedia, guardano entrare in scena l'Ansia, la loro peggiore-migliore nemica, col respiro corto e la faccia di qualcuno che ha appena visto un fantasma riflesso nello specchio del bagno. 

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Ansia, la Superstar

Il secondo capitolo del cartone animato Disney, che in pochi giorni ha avuto un effetto terremoto nei botteghini di tutto il mondo, non è migliore del primo, ma ha una Superstar che vale il prezzo del biglietto. Se questa avesse un agente, sarebbe la più pagata delle attrici. Non esiste storia senza di Lei, non esiste drammaturgia senza di Lei; non esisterebbero gli psicologi e lo Xanax, forse neanche la chirurgia estetica e la bomba atomica, senza di Lei.

Ansia è un virus che si aggancia a ogni sistema cellulare munito di membrana sensibile agli urti; preso una volta, si annida tra le tonsille e l’anima e non va più via. È un fenomeno pandemico, da cui quasi nessuno è immune, alimentato da componenti caratteriali o genetiche,  traumatiche e sociali.

Di notte esplora i nostri pensieri antichi, fa riemergere vecchie ruggini, immagina liti possibili, incidenti plausibili, le peggiori ipotesi vestite da certezze realizzabili. Di giorno mormora che manderà tutto a carte Quarantotto, gioca a scacchi con le nostre insicurezze portandoci ad anticipare mosse che si tramutano in ruzzoloni. Ogni pietra diventa masso, ogni soffio, bufera. L’Ansia si nutre di elettricità e restituisce scosse ad altissimo voltaggio, per fulminare l'ospite, costringerlo alla ritirata, alla resa, all'ammissione che aveva ragione Lei a dire che non eravamo capaci, forti, vincenti. 

I cambiamenti di "umore"

Provare a raccontare in un cartone animato gli effetti di questo tsunami, non è stata cosa facile, ma la resa è efficace, anche troppo. Disney per riuscire nell’impresa, ha riunito il pool di psicologi che aveva già collaborato al primo film, stavolta chiamati a giostrare una Riley che non è più bambina, ma adolescente. Basta solo questo passaggio, a irradiare il primo arco di commozione nella platea dei genitori. Le testoline dei bimbi si muovono nell’ombra, mentre sullo schermo scorre il futuro che aspetta madri e padri: la crescita, gli sbalzi d’umore, i “ti odio” urlati quando ancora le voci bianche dicono “ti voglio tanto tanto bene” con la manina agganciata al collo e la promessa che sì, stanotte si dorme tutti insieme. La prospettiva, per chi ancora non ha visto cambiare gli umori (anche in senso olfattivo) dei propri figli, ha l’effetto di una bomba predittiva. E siamo solo all’inizio.

La pubertà e l'inizio dell'ansia

Nel corso della storia, vediamo che al mutamento fisico di Riley corrisponde, soprattutto, quello emotivo quando il termine “Pubertà” inizia a lampeggiare in una stanza interiore dove regnava, fino a poco prima, una pace apparente e primordiale. Le emozioni di base – Gioia, Tristezza, Paura, Disgusto, Rabbia – si trovano a dare il benvenuto a nuovi colleghi di plancia, perché servono altri arnesi per arginare le frane che minano di continuo un’autostima su cui ora grava il giudizio degli altri. I rinforzi non sembrano, però, un supporto, più un fuoco amico che combina solo disastri; un sistema immunitario che attacca il corpo anziché difenderlo. Riley vuole essere accettata, teme di fallire, rinnega le sue vecchie amiche per tentare di guadagnare punti con le più cool della squadra di hockey in cui spera di entrare. La sua vecchia sé viene demolita da una nuova sé, che germoglia nelle insicurezze.

Entrano in scena la dinoccolata Noia Esistenziale (nelle fattezze francesi dell’Ennui), l’Imbarazzo col felpone tirato fino alla fronte, l’Invidia (verde, naturalmente) con grandi occhi e di piccola statura, la Nostalgia – con la forma di una nonnina reclusa in uno sgabuzzino fino a quando non arriverà il suo momento, e non prima del matrimonio della migliore amica di Riley, tengono a precisare - e infine la grande protagonista di questa storia: l’Ansia, arancione, con gli occhi strabuzzati e le manie di controllo.

Occorrerebbe una buona dose di Serenità (che non è compresa nel pacchetto) per affrontare la visione del film senza traumi, quello che ci concede Disney è solo una scena finale di decompressione in coda ai titoli finali (tocca aspettare quattro minuti almeno). In qualche modo “Inside Out2” è un film è terapeutico, perché dimostra che Ansia esiste, vive ed è concreta. È il sollievo dell’ipocondriaco dimostrare di essere malati, è il sollievo dell’ansioso dimostrare che l’Ansia non solo esiste e non viaggia sui binari della paranoia, ma agisce, ed è in grado di sopprimere tutte le altre emozioni prendendo il sopravvento.

La scena dell’attacco elettrico e paralizzante, che blocca tutto, mozza il respiro, fa perdere le coordinate, il senso di sé, il controllo, e che veloce come la luce, ti rende immobile e inerme, è potentissima. Ansia non muore (spoiler), così come non muoiono l’Invidia e l’Imbarazzo, non muore la Noia. La lezione del film ci porta verso l’ovvia conclusione che crescere vuol dire imparare a controllare le sensazioni emotive senza pretendere di escluderle o cancellarle. E quando la tempesta soffia forte e il senso di inadeguatezza ripete che non ce la farai mai, è il momento in cui Gioia può entrare in partita per alleggerire il carico. Non troverà la strada spianata, ma adesso sappiamo perché.

Giornalista
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