Ospite del programma condotto da Paola Bottero il magistrato ha raccontato molti aspetti della sua vita privata e professionale. Ecco la puntata
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La vita del piccolo Cola inizia felicemente a Gerace negli anni Sessanta e prosegue a Locri dove questo bambino delle scuole medie scopre la mentalità mafiosa e si ripromette che la sua intera vita sarà dedicata alla lotta alla ndrangheta. Non è la storia di un calabrese tra tanti perché quel Cola è Nicola Gratteri ed è stato l’ospite dell'ultima puntata de LaCapitale Vis a Vis In questo viaggio tra i ricordi, accompagnati da Paola Bottero, scopriremo parti della vita del Procuratore amatissimo dalla gente, ma soprattutto sfaccettature di un uomo per cui la legge e l’amore per la sua terra vengono prima di tutto.
La terra è centrale nella vita di Nicola Gratteri: «Sono nato in un paese bellissimo a vocazione agricola, non ancora turistica, e di quello si viveva. Noi bambini ci muovevamo a piedi, andavamo a scuola e giocavamo in strada, le mamme controllavano anche i figli degli altri. Le strade non erano asfaltate e le vie erano un asilo con tanti bambini in giro. I giochi erano semplici, si costruivano le spade e il carretto fatto con cuscinetti delle macchine e di legno. Avere un carretto era un segno distintivo come oggi lo è avere il telefonino».
Da Gerace a Locri la strada è breve, ma è una tappa fondamentale nella vita del futuro Procuratore: «Gli insegnanti capivano da dove venivano i ragazzi, se dalla campagna, dalla montagna o dalla città in base al comportamento perché nelle città (e Locri era una cittadina in cui la modernità era già arrivata) si iniziava ad essere più scostumati e meno riverenti alla cultura e al potere inteso come istituzione».
Nell’animo di Nicola Gratteri cresce quindi il desiderio di stare dalla parte giusta, di difendere i più deboli dai soprusi e la non tolleranza rispetto ai bulli; inizialmente, e qui la prima rivelazione negli studi de La Capitale, Gratteri pensava che avrebbe fatto il carabiniere, soltanto crescendo ha cambiato idea. Si arriva quindi ai tempi dell’università con la scelta di Catania rispetto a Messina «per allontanarsi dalla mentalità calabrese» confida Gratteri, e la cultura come mezzo di rivalsa: «studiavo per recuperare il gap con chi era cresciuto con il Codice Civile nella culla». Ma non solo amore per la legge: dal dialogo con il direttore Bottero emerge un uomo appassionato di musica che si premiava ad ogni esame con un LP e amava cucinare per gli amici.
«La prima volta non ho superato il concorso in magistratura, ma la seconda volta arrivai diciassettesimo. Decisi di rimanere in Calabria a Locri, ci tenevo perché volevo fare qualcosa per la mia terra e cambiare lo stato delle cose», racconta Gratteri dei primi anni da uomo di legge. Inevitabile il riferimento alla scorta che lo segue dall’89, il matrimonio con la compagna di sempre Marina, che poco prima delle nozze ricevette un avvertimento telefonico: «stai sposando un uomo morto» e poi la cronaca recente con la Procura di Catanzaro, gli importanti processi, le polemiche politiche e il futuro, su cui Gratteri non ha dubbi: «Anche se dovessi andare via domani mattina non cambierebbe nulla, c’è lavoro a Catanzaro per i prossimi anni, c’è una squadra di magistrati preparati, onesti, giovani ma di esperienza».