Lo scrittore e giornalista, oggi direttore della Fondazione Pirelli,i racconterà questa sera a Vis-à-Vis gli anni della guerra di mafia. Ecco la puntata
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È tante cose, Antonio Calabrò, nato a Messina con il cuore diviso tra Palermo e Milano, la città dove ha raccontato le guerre di mafia a L’Ora e quella che ha scelto per parlare di economia, prima al Mondo e poi al Sole 24 Ore. Un giornalista, prima di tutto, dieci anni nella Repubblica di Eugenio Scalfari, ma anche scrittore di più di dieci libri, professore di Storia del Giornalismo prima alla Bocconi e poi alla Cattolica di Milano, oggi direttore della Fondazione Pirelli e Presidente di Museimpresa.
Antonio Calabrò si è raccontato a Paola Bottero nella puntata di Vis-à-Vis in onda su LaC Tv. Dagli studi de LaCapitale, Calabrò ha raccontato una vita dedicata al giornalismo, dalle pagine che stampava a macchina con gli amici alle elementari e vendeva ai parenti, alla direzione del giornale del Liceo Garibaldi, fino all’esperienza de L’Ora, il quotidiano siciliano che raccontò in prima linea la mattanza di Palermo, dove Calabrò, da giornalista politico, si trovò a scrivere della guerra di mafia, degli omicidi del Generale Dalla Chiesa e del presidente della Regione Piersanti Mattarella, il giornale che «stava dalla parte dello Stato, dalla parte di chi non pagava il pizzo, di chi difendeva la dignità di essere siciliani per bene, in trincea».
«Che straordinaria scuola di mestiere e di vita» ricorda «da L’Ora sono passati Sciascia, Guttuso, Pasolini. Era capace di tenere insieme l’alto e il basso e durante la terribile stagione degli omicidi di Palermo la politica e la cronaca nera. Ogni giorno sapevamo che fare quel giornale era utile, che parlava alle coscienze. Era un piccolo giornale, mal sopportato da molti palermitani, eravamo sempre senza soldi. Ma fare quel giornale significava contribuire alla qualità della struttura civile della città e dell’isola».
Antonio Calabrò sceglie di lasciare Palermo nel 1986, all’inizio del maxiprocesso contro Cosa Nostra: «Mi pareva di poter andar via senza fuggire, senza che fosse un tradimento, perché l’aria stava cambiando. E ho scelto la città più diversa da Palermo che esistesse, me ne sono andato a Milano».