Essere soddisfatti sì, ma non abbandonarsi a toni trionfalistici. Produrre ogni sforzo per capire cosa è successo. Questa la posizione del sostituto procuratore antimafia Nino Di Matteo, intervenuto nel corso della puntata di Perfidia dal titolo “Non sono Stato io”. Ospiti di Antonella Grippo anche la senatrice di Forza Italia Stefania Craxi, dal deputato di Alleanza Verdi e Sinistra Angelo Bonelli, dal massmediologo Klaus Davi, dall’ex parlamentare dem Enza Bruno Bossio, e dalla deputata pentastellata Anna Laura Orrico - .

Il magistrato è stato l’ospite di punta della trasmissione di LaC Tv, concentrata nell'ultima puntata sull’attualità del dibattito politico, dalla vicenda Cospito, del 41-bis e alla cattura di Matteo Messina Denaro.

Gli interrogativi sull'arresto di Matteo Messina Denaro

«È stato arrestato a casa sua – ha esordito Di Matteo - in un territorio nel quale almeno negli ultimi 15 anni, dopo l’arresto di Bernardo Provenzano, la pressione era stata incessante e penetrante da parte delle forze dell’ordine. Ha utilizzato documenti di un soggetto del luogo che a Campobello di Mazara continuava a vivere, ha utilizzato telefonini, tutti comportamenti sorprendenti che si possono spiegare col fatto che o era così sicuro di avere protezioni talmente alte da ritenere di non poter essere arrestato, oppure ha accettato in qualche modo di poter essere arrestato. Aggiungo un’ulteriore anomalia, e cioè la previsione che un soggetto già condannato per la latitanza dei fratelli Graviano, Salvatore Baiardo, aveva preconizzato questa cattura e perfino la tempistica».
Per Di Matteo è importante capire come sono andate davvero le cose, anche per il momento particolare in cui siamo, con l'acceso dibattito sulla riforma della giustizia e su 41-bis ed ergastolo ostativo.

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Matteo Messina Denaro tra gli strateghi delle stragi

Antonella Grippo chiede al magistrato, rilanciando una sua recente dichiarazione, cosa può succedere se Messina Denaro cominciasse a parlare, facendo tremare segmenti istituzionali importanti più che i vertici di Cosa nostra.
«Le mie non sono e non possono essere previsioni - ha spiegato Di Matteo -. Quello che ho detto ("Se collaborasse in maniera autentica potrebbe causare un terremoto dentro e fuori Cosa Nostra", ndr) deriva dalla conoscenza di atti investigatici e processuali. Messina Denaro è stato protagonista nella sua storia criminale di vicende che hanno coinvolto la mafia e non solo. Innanzitutto è stato un protagonista assoluto dell’agire mafioso in una provincia particolare come quella di Trapani, anche per i legami che Cosa Nostra ha avuto con pezzi deviati dello Stato, con la massoneria e con vicende che hanno riguardato anche campi di addestramento di Gladio. Poi, se rileggiamo le sentenze sulle stragi sappiamo che Messina Denaro è stato organizzatore, esecutore e uno degli strateghi di quella stagione. Tutto ci induce a pensare che sappia perché, dopo il 23 gennaio del 1994, quando è fallito per un cattivo funzionamento di un radiocomando il tentativo di uccidere cento carabinieri allo Stadio Olimpico di Roma, improvvisamente quel progetto studiato così a lungo rientrò. È vero che il 27 gennaio furono arrestati i fratelli Graviano, ma c’era tutto un armamentario di uomini e mezzi che avrebbero consentito di compiere quella strage».

Riflessioni che partono dal presupposto che Messina Denaro ha attraversato i momenti più bui della strategia mafiosa, di cui molti aspetti tuttora sono rimasti inesplorati, soprattutto con riferimento alle stragi del 1992 e 1993.

La mafia non si arrenderà al 41 bis e all'ergastolo ostativo

«È certo che la mafia, soprattutto Cosa nostra, ha sempre puntato moltissimo, sin dal periodo delle stragi, sull’abolizione dell’ergastolo ostativo e sull’attenuazione del 41-bis. Per un certo periodo io credo che le mafie abbiano sperato in una svolta positiva, soprattutto dopo le sentenze della Corte europea e della Corte Costituzionale. Ritengo che in questo momento, il decreto approvato dal governo Meloni possa avere raffreddato quelle aspettative, quindi la storia ci dovrebbe insegnare ad essere particolarmente cauti, anche nell’escludere il ritorno di una strategia di più violento attacco alle istituzioni. Dico questo perché non credo che una intera generazione di condannati all’ergastolo ostativo, magari arrestati già da 25, 28 o 30 anni, sia disposto a morire in carcere».

«Cedere dinnanzi alla protesta di Cospito può aprire una voragine»

Sulla possibilità che il corpo smagrito dell’anarchico Cospito possa intaccare l’istituto del 41-bis, Nino Di Matteo predica cautela, avendo ben chiare le conseguenze di un eventuale arretramento. «La situazione che si è venuta a determinare è veramente delicata e scivolosa - ha detto il magistrato antimafia -. Intanto perché  a fronte di una protesta consistita in uno sciopero della fame, la revoca del 41-bis a quel detenuto potrebbe costituire un precedente di rilievo che può aprire una voragine nel sistema. Le ipotesi possono essere o quelle di una saldatura tra i gruppi anarchici e della criminalità organizzata, ma io non so se siamo in presenza di una strategia ideata in comune, o invece si tratta di una convergenza di interessi che induce i mafiosi a sfruttare iniziative di altri. È nel Dna della mafia la subdola capacità di strumentalizzare a proprio favore iniziative e battaglie che vengono concepite in altri contesti, Credo comunque che da qui a pochi mesi si potrà capire la reale intenzione della politica italiana rispetto al contrasto alle mafie e capiremo bene anche quale sarà la reazione delle mafie che sono ancora molto forti nel nostro Paese».

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«Il 41 bis non è vendetta di Stato, ma uno strumento indispensabile»

Ma per lui – contrariamente a quanto sostenuto da Gherando Colombo - il 41 bis rimane uno strumento necessario e rimane nel recinto costituzionale se se ne rispettano i confini.
«Più volte è stata sottoposta al vaglio della Corte costituzionale che ha stabilito che, rispettando determinati limiti e condizioni, quel trattamento penitenziario è costituzionalmente legittimo. Noi non dobbiamo pensare che il 41-bis sia un eccesso di afflizione verso alcuni detenuti, non ha un carattere punitivo, di vendetta, ma deve avere soltanto una funzione di prevenzione. È nato per evitare che i capi delle organizzazioni in grado di influenzare le decisioni di chi sta in libertà continuino ad esercitare il loro ruolo. E in questo senso l’applicazione deve essere rigorosa ed effettivamente limitata nei casi in cui queste esigenze di prevenzione risultino concrete».

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