Le pallottole vere e mediatiche si combattono con una realtà di civiltà, cultura, innovazione ed efficienza. Ma, purtroppo, in questa regione è ancora lungo il cammino da percorrere per sconfiggere la “calabrofobia” (ASCOLTA L'AUDIO)
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Due vicende apparentemente scollegate tra loro segnano la lotta tra una Calabria dinamica, moderna, che vuole affrancarsi da un destino di arretratezza e violenza, e una realtà che vuole riportarla indietro, che vuole tenerla legata ai propri limiti condannandola a essere vista agli occhi del mondo come la “solita” Calabria.
Iniziamo da quanto avvenuto martedì sera a Reggio Calabria. Le pallottole ad altezza d’uomo indirizzate contro la vetrata della segreteria politica del deputato di Forza Italia Francesco Cannizzaro sono un segnale inquietante non solo per chi si trovava dentro quei locali, ma per tutta la politica calabrese.
La violenza torna, con buona pace del presunto “basso profilo” assunto dalla criminalità che non vorrebbe attirare l’attenzione su di sé. La violenza torna con un segnale devastante, dal preciso valore simbolico, colpendo una segreteria politica con un politico e dei sostenitori al suo interno, inserendosi in pieno nelle dinamiche elettorali.
Sarà ovviamente l’indagine congiunta della Direzione distrettuale antimafia e della Procura ordinaria a stabilire movente e autori dell’intimidazione, se le pallottole sono un segnale legato all’attività del parlamentare o se si spingono dentro la competizione elettorale, se è un’intimidazione della ‘ndrangheta o se parliamo di altri ambiti. Certo è che sia Cannizzaro sia le istituzioni e i cittadini hanno diritto di sapere se in Calabria è possibile fare politica senza condizionamenti, se lo Stato riesce a proteggere i propri rappresentanti istituzionali, se qui la democrazia ha la stessa intensità e lo stesso significato che ha nel resto d’Italia.
Ma non ci sono solo le pallottole vere sulla campagna elettorale calabrese. Ci sono anche le “pallottole” mediatiche che riportano la nostra regione all’immagine di una “selva oscura” cresciuta nell’epoca dell’anonima sequestri e sedimentata nel sentire profondo dell’opinione pubblica internazionale con l’omicidio Fortugno e la strage di Duisburg.
E qui veniamo alla seconda vicenda, che risale a qualche giorno fa. È ancora lungo il cammino da percorrere per sconfiggere la “calabrofobia”. Sono convinto che se la Sicilia o la Campania avessero assunto i medici cubani a nessuno dei “geniali” titolisti del “The Times” sarebbe venuto in mente di scrivere che “il cuore della mafia assume medici cubani” mentre i medici italiani evitano la regione. Non sarebbe venuto in mente perché mentre altre regioni meridionali sono riuscite in qualche modo a combattere contro stereotipi e luoghi comuni, ribaltando efficacemente giudizi sommari e comunicando una dimensione reale dei valori di un popolo, la Calabria ha ancora tanta strada da fare.
La calabrofobia parte da alcune verità – ‘ndrangheta, corruzione, pallottole – negandone altre: chi la ‘ndrangheta la combatte, chi costruisce cultura, ricchezza, innovazione, chi ogni giorno dimostra di essere eccellenza sul campo. La calabrofobia ha divulgatori esterni, sparsi in testate nazionali e programmi Tv, affamati di prodotti cliché su una Calabria barbara, omertosa, inaffidabile, corrotta e mafiosa. Ma la calabrofobia ha sostenitori in Calabria. Molti di quelli che oggi fanno battaglie contro una visione stereotipata e mafiosa della Calabria hanno costruito le loro fortune veicolando l’immagine di una terra (solo) corrotta e mafiosa. La visibilità nazionale è il premio alla confezione di prodotti perfettamente allineati ai cliché e agli stereotipi richiesti.
Molto più facile per loro prendersela oggi con i magistrati che combattono la ‘ndrangheta che chiedersi come è potuto accadere che l’opinione pubblica sia stata condizionata da articoli e servizi, libri e documentari che hanno veicolato tout court l’immagine di un popolo dannato, geneticamente corrotto, sciatto, pericoloso e dal comune sentire mafioso.
Riprendendo la mia considerazione iniziale – su due vicende che simboleggiano la difficoltà di operare per una Calabria che abbia una realtà positiva per chi ci vive e un’immagine vera e attraente per chi la vede dall’esterno – la domanda è: come fare a combattere le “pallottole mediatiche” quando in campagna elettorale irrompono le pallottole vere?
Il titolo del “The Times” non è un infortunio: purtroppo è conseguenza di convincimenti radicati nell’opinione pubblica. “Se vai in Calabria sentirai che c’è un odor di Calabria come c’è un odor di neve, come c’è un odor di sole”, scriveva Anselmo Bucci. Oggi in Calabria, in Italia e nel mondo, è come se ci fosse un odore in cui tutti i valori, le tradizioni, la coscienza di un popolo vengono distorti attraverso il filtro del pregiudizio.
Non è un problema di reputazione e basta, perché le conseguenze pesano sull’economia e sulle dinamiche sociali: i mutui per le famiglie costano molto di più, le imprese non vogliono investire, i medici non vogliono venire, i turisti preferiscono altre mete, i giovani che vogliono costruire qualcosa di vero spesso sono obbligati a scappare. Alcuni politici sembrano aver capito che l’immagine che il mondo ha della Calabria è una pesantissima ipoteca a ogni possibilità di crescita, ma finora il problema si è affrontato a livello superficiale. La comunicazione deve avere basi solide nei fatti.
L’unico modo per abbattere il pregiudizio che nega la crescita economica e sociale è l’idea di uno Stato che consenta un libero esercizio dei diritti democratici, che fermi le pallottole, che individui e arresti mafiosi e corrotti. È l’idea di una Regione che garantisca una sanità che non ammazzi le persone e reparti efficienti in cui pazienti e operatori si trovino in standard “normali”, che assicuri trasporti adeguati, mare pulito, una burocrazia al servizio del cittadino, finanziamenti per la cultura e le imprese e non per i faccendieri. È l’idea di Comuni che salvaguardino livelli di vivibilità accettabili nelle città, con servizi di raccolta rifiuti efficienti, condotte idriche funzionanti, la garanzia di dignità e decoro per tutti.
Le pallottole vere e mediatiche si combattono con una realtà di civiltà, cultura, innovazione ed efficienza: questa la vera risposta che la politica deve dare. L’impressione è che in questa campagna elettorale, in Calabria, questi argomenti interessino poco. Si inseguono le polemiche di giornata, si promettono posti di lavoro, si assicura che quella pratica passerà quando il candidato sarà eletto. L’anomalia calabrese – che è una faccia dell’anomalia della campagna elettorale – è anche l’incapacità della politica di affrontare seriamente i veri problemi.
Alla fine affermare che tutti i partiti e i candidati fondamentalmente dicono le stesse cose è solo un modo per ribadire che dicono nulla. In campagna elettorale è più divertente litigare sui medici cubani e poi prendersela se i quotidiani britannici ci trattano come i “soliti” calabresi.