Per le scuole calabresi un’altra sforbiciata di autonomie, che segue i tagli già compiuti lo scorso anno. Per cui, per incontrare un un dirigente scolastico (il preside) sarà sempre più difficile, perché ogni 1000 alunni ne vedremo uno. Il che significa che diversi edifici e plessi scolastici saranno affidati a un vicepreside, o a un capo plesso, con tutto quello che questo significa anche in termini di sicurezza. Perché la presenza di un preside e degli uffici, significa molto altro, cioè l’autorità e la presenza dello Stato.

Ma intanto a Roma hanno pensato all’ennesima riforma, ad opera del caro ministro Valditara.


Non c’è nulla di più comico, e insieme tragico, di un sistema che si vanta di insegnare il futuro mentre inciampa nel passato. La scuola italiana, in questo, è un capolavoro dell’assurdo. Immaginate un giovane studente nativo digitale, cresciuto tra app e intelligenza artificiale, che entra in classe come il marziano di Flaiano, catapultato non nella Roma mondana del dopoguerra, ma in un’istituzione educativa che pare essersi cristallizzata in un eterno work in progress.
Il suo arrivo è accolto con solennità.

«Ecco la Bibbia», gli dice l’insegnante, porgendogli un libro che sembra uscito da una libreria antiquaria. «Non tutta, ovviamente. Solo i brani che il Ministero ha deciso siano appropriati». Poi, con un tono tra il paternalistico e l’ironico, aggiunge: «E non preoccuparti, c’è anche il latino». Un’ora opzionale, però, un po’ come un souvenir culturale che non sai dove mettere. Ma non aspettatevi la lingua di Cicerone: è un latino anestetizzato, ridotto a esercizio sterile per far contenti i nostalgici delle radici culturali.

E non finisce qui. Lo studente scopre presto che la storia, quella vera, non è di casa. Il Novecento, sì, ma solo italiano e occidentale. Il resto del mondo viene trattato come un errore tipografico, qualcosa da ignorare con eleganza. La “geo-storia”? Abolita. Perché mai insegnare ai giovani che il mondo è un intreccio di storie complesse, quando è più semplice offrir loro un atlante monocromatico, dove tutto ciò che non appartiene alla tradizione viene cancellato con cura?

Il marziano studente osserva tutto questo con una curiosità che si trasforma presto in incredulità. La scuola italiana riesce nell’impresa di essere moderna e antiquata nello stesso momento, ma in modo raffazzonato. Ogni Ministro che passa si sente un Michelangelo pronto a scolpire la scuola perfetta, ma alla fine lascia solo rovine.

E poi c’è l’apparenza: si parla di amore per la cultura, ma si celebra la produttività come unico valore. Si accostano scrittori pop ai grandi classici non per ispirare, ma per ingannare.

Il vero problema, però, non è solo nei programmi, ma in chi li decide. Gli esperti che progettano riforme discutono di innovazione in sale conferenze ben illuminate, ma probabilmente non sono mai entrati in un’aula. Non conoscono i volti degli studenti, non sentono la fatica di insegnanti sempre più precari, sottopagati e soffocati dalla burocrazia. E così, ciò che dovrebbe essere un luogo di emancipazione si riduce a una catena di montaggio del pensiero unico.

La scuola, che un tempo era un vero ascensore sociale, un santuario di sogni e ribellioni, oggi è una fabbrica di conformismo, dove ogni scintilla di creatività viene spenta sotto il peso di verifiche a risposta multipla, schede didattiche e griglie di valutazione.

Alla fine del suo viaggio ll marziano però prende coraggio e compie un gesto anticamente rivoluzionario, trova una penna, un diario e inizia a scrivere: «La scuola qui non è un’Istituzione, ma è una recita. Ogni riforma sembra il cambio di un copione, ma gli attori, studenti e insegnanti, restano abbandonati sul palco senza regia. La tragedia è che nessuno sembra davvero importare realmente, alla fine ciò che conta è che lo spettacolo continui, perché tanto alla fine il pubblico applaudirà lo stesso».