Ilda "la rossa" nel suo libro autobiografico rivela una relazione amorosa con il magistrato ucciso a Capaci insieme alla consorte e collega Francesca Laura Morvillo. Gossip che supera la soglia della decenza (ASCOLTA L'AUDIO)
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Dobbiamo credere che Ilda Bocassini “la rossa”, magistrato a Milano, dica il vero parlando del suo amore per Giovanni Falcone, magistrato, nella sua biografia, appena pubblicata; ma Falcone non può smentire, confermare o rettificare i termini della relazione: è morto, fatto a pezzi 29 anni fa sulla strada di Capaci. Magari, Francesca Laura Morvillo, magistrato, moglie di Giovanni Falcone, avrebbe qualcosa da ridire su una rivelazione che la riguarda tanto da vicino e la offende. Ma non può: è morta anche lei alle 17,58 del 23 maggio del 1992, insieme a suo marito e alla scorta, per la bomba che li fece a pezzi; brandelli delle carni vennero ritrovati a 200 metri dal luogo dell'esplosione.
Una donna giovane, bella, intelligente che aveva deciso di condividere per amore una vita dura, inquieta, pericolosa, con il suo uomo; e ne condivise anche la morte. Questo le risparmia di dover leggere ora su tutti i giornali e nel libro della collega, quella scudisciata che, si può essere moderni quanto si vuole, ma lascia il segno: «Cornuta!».
Questa cosa mi lascia una brutta sensazione, avrei voluto non saperla. E badate che lo dico da giornalista che su cose simili ci ha campato (ero vice direttore a “Oggi”, direttore a “Gente”). Le turbolenze coniugali del mio amico Al Bano e Romina, Loredana, le ho raccontate e fatte raccontare sui giornali che dirigevo o vice-dirigevo, perché la vita privata di personaggi del mondo dello spettacolo non è privata, fa parte del gioco avere i riflettori anche in casa. Solo in un caso non sono riuscito a farmi raccontare cose da “sparare in pagina”, da Al Bano: la scomparsa della figlia Ylenia. C'è una soglia che non si riesce a superare (e sì che noi giornalisti ne calpestiamo parecchie e non sempre siamo all'altezza delle giudiziose cose che tento di dire e di questi toni così riflessivi): sono padre anche io, e anche se non avessi visto il mio amico piangere, basta quel velo che gli scende sul viso, quando si accenna alla vicenda.
E quel velo mi ferma.
Quel velo non ha fermato Ilda Bocassini che scrive del suo amore per Falcone. Ma non glielo ha dimostrato, scrivendolo. Magari sono io che esagero con queste sensibilità e se è così, me ne scuso. Ma vorrei spiegare le mie ragioni. Proviamo a considerare la cosa a ruoli invertiti: immaginate un magistrato che scrivesse una sua biografia e raccontasse il suo amore per la moglie di Falcone, un loro ipotetico viaggio in Argentina, in aereo abbracciati, ascoltando Gianna Nannini...
Onesti: quale reazione pubblica ci sarebbe stata? Lo avesse fatto un uomo, avremmo letto, come ha scritto Roberto Saviano della biografia della Bocassini: “Se questo libro avesse potuto esser scritto con il sangue, le lacrime, la saliva, le unghie, ciocche di capelli, brandelli di vestiti, vetri d’auto blindata, forchette, ebbene sarebbe stato scritto con ogni singolo elemento di questo elenco”? O avremmo letto di ben altri materiali (anche perché il sangue, le ciocche di capelli, brandelli di vestiti e di vetri di auto blindata erano quelli di Francesca Morvillo a Capaci)? Cosa avrebbero detto le donne di un uomo che rendeva nota la sua relazione con una persona importante e morta a quel modo? Cosa avrebbe detto, arrivo a chiedermi, Ilda Bocassini prima di tutte le altre? Avrebbero voluto, e a ragione, che quel velo rimanesse a tutelare, nella morte, il sussurro con cui pronunciare quei nomi, quelle storie, quel boato figlio di tante coscienze sorde, ma che tante ne svegliò?
E anche non fosse così, per quanto credo io: a chi, per noi, ha vissuto così; a chi per noi, è morto così, quel rispetto in più che non fa sollevare il velo, lo dobbiamo. Se già non lo meritassero come tutti. No, non mi piace per niente una tale “confessione”, più adatta al prete, che alla piazza.
Non so della Bocassini più di quanto da tanti anni leggo di lei. Che faccia onore alle dicerie sui peldicarota, a proposito del carattere, pare indiscutibile. L'elenco dei giudizi su colleghi prestigiosi e che scopriamo, per lei, tutti manchevoli, mi fa rivedere il mio su “Ilda la rossa” e che ritenevo del livello di quei protagonisti che critica. Del collega Scarpinato non le va bene manco “l'acconciatura alla D'Artagnan”! Ma vi immaginate cosa si sarebbe sentito dire chi avesse obiettato su pettinatura o vestiti della Bocassini?
Del procuratore Nicola Gratteri scrive che “creava tensione con il suo vantarsi di una conoscenza della 'ndrangheta talmente approfondita e, a suo dire, unica, da ricavarne bizzarramente (perché era il solo a esserne convinto) un senso di superiorità nei nostri confronti”. Parla dell'inchiesta “Crimine infinito”, che coinvolse diverse Procure: da Palermo a Milano. Che, però, nacque con Gratteri e in Calabria, fra Melito Porto Salvo e Rosarno, per poi allargatasi al resto d'Italia.
E fu in un secondo momento che entrò la Bocassini. Gratteri non le sta simpatico, e in questo è in folta compagnia (ma neanche Antonio Ingroia, “piccola figura di magistrato”; neanche Luigi Di Matteo, già ritenuto il più giovane e promettente della Procura di Palermo; di Scarpinato, capelli a parte, ha da ridire per il suo “stile da narciso siciliano”: di dove deve essere un narciso per andar bene?), ma il suo giudizio sulla competenza di 'ndrangheta del procuratore capo di Catanzaro si scontra con una produzione professionale che porta al processo Rinascita Scott, il più grande finora e ancora in corso, e a una fertilità storico-divulgativa di cui son piene le librerie.
Ma queste sono beghe fra colleghi magistrati (quelle fra giornalisti non sono da meno, tanto che conviene ogni tanto ricordare la nota definizione di colleganza: “odio vigilante”). A esser sinceri, queste beghe sono l'occasione, per chi non ne fa parte, di curiosare fra le debolezze umane della magistratura, oltre i rituali e i cerimoniali da liturgie quasi religiose, toghe e alti princìpi. Certo, dopo quel che abbiamo letto nel libro di Palamara... Ma non sono da meno, a loro modo, gli squarci aperti dalla Bocassini sulla rete di antipatie, invidiuzze palesi e no, in cui vediamo nomi che per noi comuni mortali sono la storia dell'antimafia, comunque la si pensi sul loro operato: Scarpinato, Di Matteo, Ingroia, Gratteri, Bocassini e altri ne trovate, nel libro.
Ma i morti no. Almeno, non per quello, non per farci sapere che lui, Falcone, era..., lei, Morvillo era..., perché l'altra, “la rossa”... Paradossalmente, chiunque altro avrebbe potuto scriverlo, rivelare di una relazione che, a dirla tutta, segreta non era; le voci giravano, ma su attendibilità e profondità del rapporto nessuno poteva spingersi oltre. Ora, l'unica fonte che poteva farlo, l'ha fatto. Sarebbe stata la stessa cosa se Falcone e sua moglie fossero ancora vivi? La sorella di Falcone è intervenuta per dire che questo svelarsi in pubblico è quanto di più distante ci sia dal carattere del fratello, dal suo stile di vita. E non rispettarlo non è stata una gran prova d'amore, comunque stessero davvero le cose. Stride il coinvolgimento in contumacia (senza diritto di replica) di Giovanni Falcone e Francesca Morvillo in una storia che qualcuno vorrebbe ridurre a “Isso, essa, e 'a rossa...”.
Sulla stele di Capaci, forse ora non basta un fiore, anche delle scuse.