Se qui si arranca, nella regione appena più a nord si vola con investimenti per un controvalore di un miliardo e trecento milioni di euro. Tanti i nodi, che gettano anche un'ombra sulla paventata creazione di una Zona economica speciale unica per tutto il Mezzogiorno (ASCOLTA L'AUDIO)
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Meno tasse e burocrazia ridotta al minimo. Su questo binomio si voleva tracciare un nuovo rilancio per il Meridione del Paese. Fu l’allora ministro per il Sud, Claudio De Vincenti (Pd), a immaginare nel 2017 le Zes (zone economiche speciali) per replicare il modello di successo delle Zes polacche. Dopo un avvio stentato, con il governo Draghi c’è stata un’accelerazione, grazie allo stanziamento di fondi Pnrr e a una riforma della governance promossa dal ministro Mara Carfagna, in primis con l’introduzione di un’autorizzazione unica per gli investimenti privati rilasciata alle aziende richiedenti dai commissari delle singole Zes e poi con l’effettiva nomina di tutti gli 8 commissari e dei loro staff.
Oggi in Italia esistono, difatti, otto Zes composte da aree industriali a ridosso o funzionalmente collegati ad altrettanti porti del Sud. Ma dire che lo strumento abbia funzionato dappertutto è fuorviante.
Il caso più clamoroso, tanto per cambiare, è proprio la Calabria. Qui commissario della Zes è l’avvocato amministrativista Giusy Romano. Quest’ultimo è anche commissario della Zes in Campania. Quindi la governance è identica, gli strumenti per le due regioni sono simili, i risultati invece sono di molto differenti.
Mentre la Zes campana sta volando, quella calabrese resta ferma al palo. Gli ultimi dati, diffusi dallo stesso Romano, dicono che in Campania ci sono stati investimenti per un controvalore di un miliardo e trecento milioni. Nell'arco di soli nove mesi la Zes Campana ha rilasciato ben 30 autorizzazioni a fronte di circa 100 domande presentate. Sulla Calabria è difficile trovare dati ufficiali. Quelli ufficiosi parlano di circa venti autorizzazioni rilasciate o in fase di autorizzazione per un controvalore economico decisamente molto inferiore. Ma soprattutto il dato che dovrebbe far riflettere è che i progetti riguardano soprattutto la zona di Lamezia Terme e poca o nessuna quella di Gioia Tauro.
La domanda è: come mai a parità di condizioni e di governance i risultati sono così differenti?
La risposta più banale è che le condizioni di partenza non erano affatto uguali con buona pace di chi si ostina a negare l’esistenza di più Mezzogiorno. La Campania aveva comunque una sua vitalità produttiva e quindi una infrastrutturazione decente, aree industriali ben tenute, in grado di offrire servizi alle imprese e soprattutto un tessuto industriale pre esistente capace di connettersi a monte e a valle dei nuovi insediamenti.
In Calabria la situazione è praticamente opposta. Il tessuto industriale è quello che è e la gestione delle aree industriali è affidata al Corap, un carrozzone creato dalla politica che adesso gli si sta ritorcendo contro. Il Consorzio per lo sviluppo industriale, in liquidazione da una vita, ha conosciuto un susseguirsi vorticoso di manager e commissari, ma nessuno è riuscito a mettere i conti in equilibrio. Il risultato è che le aree industriali in realtà le gestisce alla meno peggio: sono prive di servizi, con illuminazione carente, viabilità approssimativa. Per capire il problema basti pensare a quanto tempo si è reso necessario per sbloccare il raccordo ferroviario di San Ferdinando e passarlo nella completa disponibilità di Rfi per il necessario ammodernamento.
C’è anche un secondo problema che sconta la Zes calabrese. Si tratta della sovrapposizione di competenze fra il commissario, il Corap e l’Autorità portuale che rischia di incidere sui tempi burocratici. Infine il terzo problema è quello della sicurezza. Se solo in Italia ci sono otto Zes e molte altre nel resto d’Europa quale multinazionale verrebbe ad investire in un contesto del genere?
Di fronte a questi nodi anche il dibattito sulla paventata creazione di una Zes unica per tutto il Mezzogiorno finisce per perdere di significato.