VIDEO | Al servizio di diverse aziende di food delivery, incassano in media tre euro a ordine consegnato. Ma devono usare il mezzo proprio e la benzina è rimborsata solo parzialmente. Dalla Calabria la spinta per la nascita di un movimento a tutela dei loro diritti
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L'offerta è accattivante: fisso mensile, compenso per ogni ordine consegnato, rimborso della benzina, equipaggiamento di qualità. E libertà di scelta del proprio turno. Ma non è tutto oro quello che luccica e dietro questi annunci, ai quali rispondono di norma soprattutto studenti universitari, si nasconde un fitto sottobosco di sfruttamento del lavoro, a tutti gli effetti subordinato ma contrattualizzato a progetto, sottopagato e privo di tutele. Benvenuti nel mondo dei riders. Spopolano anche a Cosenza, coordinati da diverse aziende di food delivery, operanti come intermediari tra ristoratori e clienti per la consegna a domicilio delle pietanze.
Ma quanto si guadagna?
Chi cade in questa trappola, pensa di poter arrotondare uno stipendio. Ma ben presto si rende conto che i guadagni sono miseri e che la spesa non vale la candela. Abbiamo parlato con i collaboratori di una nota catena nazionale. Non vogliono rivelare la loro identità per timore di ritorsioni, ma questo è quanto ci hanno detto: il compenso è di due euro e cinquanta centesimi a consegna, nel fine settimana si sale a tre euro e cinquanta. Attraverso un app il rider si prenota preventivamente per svolgere un turno di lavoro a pranzo, tra le 12 e le 15, o a cena, tra le 19 e le 23. Per contratto bisogna garantire almeno un turno ogni quindici giorni. In realtà poi l'azienda pretende almeno tre turni settimanali, soprattutto nei weekend, quando le ordinazioni triplicano.
Rimborsi insufficienti
Ma quante consegne si riescono a fare in quattro ore?. Nei fine settimana anche una decina, l’equivalente di 35 euro. Ma ci sono giornate in cui le lancette dell’orologio scorrono e le richieste languono. E quindi si finisce col mettere in tasca pochi spiccioli. Nel complesso la paga mensile media ammonta a circa trecento euro. Attenzione però, perché non si tratta di un guadagno netto: bisogna usare un mezzo proprio, auto o motocicletta, con rimborso spese di 38 centesimi per chilometro, conteggiati però in linea d'aria e non sulla base del percorso stradale. Inoltre viene calcolata solo la tratta compresa tra il ristorante, dove avviene il ritiro delle vivande, e l'abitazione del cliente, mentre il viaggio per raggiungere il ristorante stesso dal luogo in cui ci si trova, non viene ripagato.
Perplessità sull'igiene
Ci sono poi altri punti interrogativi: si richiede tempestività delle consegne, ma eventuali sanzioni per violazioni del codice della strada sono a carico del rider. Naturalmente non ci sono rimborsi per la manutenzione ordinaria e straordinaria dei veicoli mentre più di una perplessità suscita il fatto che gli alimenti siano trasportati senza controlli sull'igiene e senza che i riders stessi siano in possesso dell'attestato Haccp prescritto dalla legge per tutti i soggetti che intervengono nella filiera della vendita del cibo, addetti al trasporto compresi. Inoltre molti ordini vengono pagati in contanti: questo significa che i riders si assumono anche la responsabilità di incassare e custodire il denaro, poi versato di norma ad un coordinatore di zona inviato dalla casa madre una volta la settimana.
Proteste per condizioni più eque
Le condizioni sono quindi molto sbilanciate. Per questo le rinunce sono continue, ma le aziende non hanno difficoltà nel trovare i rimpiazzi, in un circolo vizioso in cui si specula sul bisogno. E chi protesta viene sospeso fino alla scadenza del contratto e poi sostituito. Per questo adesso anche a Cosenza, sulla scorta di altre città italiane, sta nascendo un movimento per la tutela dei diritti di questa particolare categoria ancora non pienamente inquadrata dalle norme.