Luigi è un giovane calabrese che ci ha scritto dopo aver letto l’editoriale del nostro direttore Franco Laratta sull’importanza dello Smart working per fermare lo spopolamento della nostra terra. 
«Ho letto l’articolo di Laratta e mi sono ritrovato in ogni singola parola. Condivido tutto ciò che ha scritto. Avendo vissuto in prima persona i benefici dello smart working, vorrei condividere la mia storia perché è un tema che mi sta molto a cuore».

Lei ci ha detto di essere rientrato in Calabria, precisamente a Lamezia, grazie allo smart working.
«Esatto. Ho vissuto per un breve periodo all'estero. Rientrato in Italia sono andato a lavorare al Nord, ma in me si è accesa una fiamma, non potevo arrendermi all'idea di abbandonare la mia terra per sempre. Sono riuscito a trovare questa opportunità, e sono tornato a vivere in Calabria. Di tanto in tanto vado nella sede centrale dell'azienda per qualche giorno per vedere qualche collega, ma a mia discrezione (a meno di esigenze specifiche che comunque si verificano raramente)».

Questo ti ha consentito di risparmiare molto? E su cosa?
«Decisamente. Mi ha permesso di risparmiare sulle spese di trasporto casa-ufficio, ma il risparmio maggiore è relativo alla casa. Il costo della vita tra Nord e Sud mi sembra si sia abbastanza allineato negli ultimi anni, ma sulle case la differenza è ancora molto marcata. L'aumento dei costi legati alla casa al Nord è stato esponenziale negli ultimi anni a causa del sovraffollamento delle grandi città e degli affitti brevi, e anche salari più alti difficilmente compensano la differenza di costi legati alle abitazioni».

Con il lavoro a distanza è possibile svolgere a casa qualsiasi lavoro? E la produttività?
«No, non è possibile svolgere qualsiasi lavoro, ma è possibile svolgere da remoto molti più lavori di quelli che rientrano nell'immaginario collettivo. Penso che un buon 90% dei lavori d'ufficio si possano svolgere interamente da remoto con gli strumenti che abbiamo. Specialmente nelle grandi aziende, spesso ci si ritrova a lavorare con persone che già di base sono dislocate in altre parti del mondo, o anche in altre parti dello stesso stabile, e quindi si ripiega sempre su meeting virtuali».

E riguardo la produttività?
«Quasi la totalità degli studi condotti a riguardo, ad oggi, conclude che è incrementata o al più invariata rispetto al lavoro in presenza. L'azienda per cui lavoro ne è la dimostrazione, visto che post Covid ha vissuto la più grande crescita economica della sua storia. Non dico che ciò sia correlato direttamente al lavoro da remoto, ma questo sicuramente è la dimostrazione che non ha impatti negativi. Inoltre, la libertà di scegliere dove lavorare significa per le aziende poter cercare più talenti indipendentemente dalla posizione geografica e avere dipendenti più felici, con una ricaduta che non può che essere positiva sull'azienda».

Non c’è il rischio di un isolamento sociale per chi lavora tutti i giorni a casa? Come si può ridurre questo rischio?
«Rispondo con una provocazione. È ritenuto più isolamento sociale vedere meno spesso i colleghi, o vedere due settimane all'anno la propria famiglia? Detto ciò, ritengo che questo rischio ci possa essere, ma è molto facile mitigarlo tenendosi impegnati in altre attività extra lavorative, cosa che andrebbe fatta a prescindere. Quindi sport, musica, trekking, qualsiasi altra cosa, attività a cui comunque si può dedicare il tempo risparmiato dal traffico. Alla fine i liberi professionisti lavorano tendenzialmente soli da una vita, quindi questo non è un argomento nuovo».

Lei ci ha detto di voler fare un appello al presidente Occhiuto.
«La Calabria vive un'emorragia di persone, specialmente qualificate, che non si riesce a fermare. Molti ragazzi che vanno fuori a lavorare mantengono la residenza in Calabria con la speranza di tornare, di conseguenza la situazione è molto più grave di quella dipinta dai dati ufficiali. La soluzione strutturale al problema è quella di attrarre investimenti e posti di lavoro, ma richiederà decenni. Nel frattempo, il lavoro da remoto può dare un contributo concreto e soprattutto immediato, perché potenzialmente applicabile da domani stesso. Però le aziende devono essere incentivate a concedere queste modalità di lavoro, in quanto mostrano una certa resistenza legata soprattutto ad una visione vecchia del lavoro, dove il capo deve controllare a vista il sottoposto».

Ma al presidente Occhiuto cosa vuole chiedere?
«Mi rivolgo al presidente Occhiuto che, inspiegabilmente, non ha ancora premuto a fondo l'acceleratore in questa direzione. Che le regioni del Sud si facciano promotrici di queste modalità di lavoro e che le incentivino in tutti i modi possibili, perché non è più concepibile che nel 2025 si facciano operazioni chirurgiche da remoto, ma le persone siano ancora costrette a trasferirsi dall'altra parte del Paese per fare meeting virtuali tutto il giorno».

Può davvero il lavoro a distanza rappresentare una risposta allo spopolamento del Sud?
«Assolutamente sì, io ne sono la dimostrazione. Non solo, è la risposta più immediata, da accompagnare a una crescita strutturale delle aziende e dei posti di lavoro. Tuttavia, può esserlo realmente solo se vengono date delle garanzie ai lavoratori. Ad esempio, nel mio caso, io non ho alcuna tutela riguardo alle modalità di lavoro, potenzialmente l'azienda potrebbe richiamarmi in sede in qualsiasi momento. Ed è proprio per questo che dico che il tutto deve essere incentivato e spinto dalla politica».

Ma i costi del lavoro a distanza, energia, riscaldamento ecc, si scaricherebbero tutti sulla famiglia?
«Tendenzialmente sì. È qui che si concretizza anche la convenienza per l'azienda nel concedere questa modalità di lavoro. La mia azienda ad esempio ha di recente ristrutturato alcuni dei propri stabili, riducendo la capienza massima e risparmiando moltissimo sui lavori basandosi sul presupposto che non tutti lavorano in presenza. In ogni caso, per un ragazzo che torna al sud, la spesa rappresentata da questi costi è comunque molto minore del risparmio ottenuto sulla casa, e in ogni caso anche ad un ragazzo del nord ciò converrebbe, potendosi spostare fuori dai centri più popolosi e costosi».

Dal Nord si opporranno sicuramente, considerato che se in tanti ragazzi che migrano da quelle parti ottenessero lo smart working, a perdere sarebbe soprattutto l’economia di quelle aree, i bar, i ristoranti, i consumi in generale.
Anche qui rispondo con una provocazione. Quanto stanno perdendo le aree, i bar, i ristoranti, i consumi in generale del sud da 70 anni? Non voler concedere questo, significa anche la volontà di ostacolare gli investimenti allora, perché nessuno emigrerebbe più da sud verso nord. Non si può fermare lo sviluppo per il bene di pochi, non si può tenere metà del paese in condizioni disastrose per sempre. Inoltre, al nord si sta vivendo un vero e proprio problema di sovraffollamento nelle grandi città, con conseguente schizzo dei prezzi, del traffico, e dell'inquinamento. Sarebbe una soluzione a doppio volto, per due problemi differenti, di due aree differenti del nostro paese. Una ridistribuzione di popolazione, ricchezza, speranze e futuro.