Oggi l'audizione alle Camere sull'attuazione del federalismo fiscale. E arriva la bocciatura dell'autonomia differenziata: «Il Ddl Calderoli pregiudicherebbe il superamento dei divari regionali, considerato il concomitante definanziamento del fondo di perequazione»
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«Il processo volto alla compiuta affermazione dei princìpi del federalismo fiscale è stato sinora caratterizzato da ritardi, incertezze, soluzioni parziali e reiterati differimenti». È questo il quadro di massima dipinto questa mattina dalla Svimez nel corso dell’audizione alle Camere sul federalismo fiscale. Un gap, quello tra Nord e Sud, che appare ancora molto profondo e sul quale aleggia adesso anche lo spettro dell’autonomia differenziata.
Si parla di «perduranti inadempienze» sia per quanto riguarda «la perequazione infrastrutturale» sia nel «percorso per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep)». Sono questi i due «pilastri» su cui dovrebbe poggiare il modello di federalismo simmetrico e cooperativo previsto dalla legge delega n. 42 del 5 maggio 2009. Pilastri che, però, appaiono alla luce dell’analisi della Svimez, più che mai traballanti. E il Ddl Calderoli non farebbe altro che scavare ancora di più il baratro.
«Se l’obiettivo è rendere effettivo il principio di pari dignità di accesso ai servizi di cittadini e imprese su tutto il territorio nazionale, Lep e perequazione infrastrutturale dovrebbero trovare compiuto riconoscimento nella legislazione nazionale indipendentemente dalla cosiddetta "autonomia differenziata" - rileva la Svimez -. E, a tal proposito, non è secondario ricordare che il completamento del federalismo fiscale simmetrico, con particolare riferimento alla sua componente regionale, è una delle riforme abilitanti previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, da completare entro il primo semestre del 2026».
E ancora: «I due pilastri andrebbero "costruiti" in parallelo, secondo princìpi e criteri comuni, seguendo procedure coordinate e convergenti per tempistica, basandosi su una comune delimitazione del perimetro delle prestazioni "concernenti i diritti civili e sociali", e individuando, di conseguenza, condivise priorità di intervento. Se, infatti, i Lep hanno la finalità ultima di garantire livelli di servizi uniformi sul territorio nazionale, oltre che la loro puntuale definizione e il loro finanziamento, sarebbe necessario procedere, di pari passo, al livellamento delle dotazioni infrastrutturali tra territori, condizione necessaria per consentire alle amministrazioni decentrate di erogare livelli adeguati di servizi».
Questioni «basilari» sulle quali la riforma andrebbe a interferire «pregiudicando le finalità di equità e solidarietà nazionale del federalismo».
Scuole, vie di comunicazione e infrastrutture idriche, questi gli ambiti analizzati. Il Mezzogiorno d’Italia arranca nonostante le ottime premesse: «La via indicata era fortemente innovativa: impostare la programmazione degli investimenti sulla base dei fabbisogni dei diversi territori. Un’impostazione corretta: se l’obiettivo è ridurre gli squilibri, occorre partire dalla loro rilevazione; le risorse vanno quantificate successivamente, in funzione dei vincoli di finanza pubblica e dei tempi entro i quali si intende ridurre gli squilibri stessi».
Le infrastrutture scolastiche
Impostazione corretta ma procedimento disatteso, rileva la Svimez. E i risultati sono tutti nei numeri forniti dallo studio. A cominciare dalle infrastrutture scolastiche e dai servizi per la prima infanzia, dove la Calabria appare tra le regioni più distanti dall’obiettivo di copertura del 33% della popolazione tra 0 e 3 anni entro il 2027: con il 13,6% riesce a fare (poco) meglio di Campania (10,7) e Sicilia (12,4) piazzandosi alle spalle della Puglia (18).
«Nel complesso – evidenzia la nota della Svimez –, la disponibilità di posti nido, comprensivi di sezioni primavera, nel Mezzogiorno si attesta su una media del 15,1, la metà rispetto al Centro-Nord (32,1)».
In ambito scolastico, non va meglio neanche salendo ai gradi successivi. È bassa, al Sud, anche la percentuale di alunni della primaria che frequentano istituti dotati di un locale mensa (con limitazioni anche nell’offerta del tempo pieno). «Tutte le regioni del Mezzogiorno si collocano al di sotto della media nazionale del 48,5%, con valori compresi tra il 41 e il 17% – si legge –. Unica eccezione è la Sardegna con una quota del 48,6%. In termini aggregati, si osserva che solamente il 26,8% degli alunni della primaria residenti nel Mezzogiorno frequentano scuole dotate di mensa, un valore tre volte inferiore alla percentuale riferita al Centro-Nord (60%)».
Stessa situazione per quanto riguarda le palestre: «A esclusione di Puglia (70,7) e Sardegna (53,8) che registrano valori ben superiori alla media nazionale (47,7%), le restanti regioni del Mezzogiorno si collocano in coda alla classifica regionale con Campania (30,2), Sicilia (30,1) e Calabria (22,8) che stazionano agli ultimi posti». A livello provinciale, risultano particolarmente carenti Cosenza – dove solo il 17% degli alunni della primaria ha a disposizione un locale adibito alle attività sportive all’interno dell’edificio scolastico – e Vibo Valentia e Reggio Calabria, dove la percentuale arriva al 21%. Meglio invece Crotone dove si sale fino al 39%.
Calabria, Puglia, Sicilia e Sardegna in coda anche per quanto riguarda la sicurezza: la percentuale di studenti che frequentano scuole in possesso di certificazioni di prevenzione incendi è nella nostra regione pari al 22,1% nella primaria e del 19,1% nella secondaria di primo grado, a fronte di una media nazionale del 40,5 e del 39,5%. Migliora la situazione nelle secondarie di secondo grado, dove la percentuale sale al 57,7%, al di sopra della media italiana del 36,2.
Riguardo poi alle certificazioni di agibilità, la Calabria si attesta al 24,9% nella primaria, al 24,4 nella secondaria di primo grado, al 19,3% nella secondaria di secondo grado, con medie nazionali rispettivamente del 36,7%, 35,7 e 28,1%.
Le infrastrutture della mobilità
La nota della Svimez analizza poi il gap della mobilità. A cominciare dalle ferrovie: «Le linee in esercizio gestite da Rfi si sviluppano al Sud su 5.717 km, pari al 34% del totale nazionale, mentre la lunghezza dei binari è pari a 7.528 km ovvero il 30,7% del totale nazionale».
Ma a preoccupare maggiormente non è la sottodotazione dei binari, bensì le prestazioni offerte dalla rete. «Significativo è l’indicatore relativo alla quota di linee classificate come “fondamentali” e “di nodo” (quest’ultime presenti solo in Campania), che nel Mezzogiorno interessa solo il 21,4% dell’intera estesa contro una percentuale più che doppia al Centro-Nord (53,5%). Enorme il gap anche nell’elettrificazione della rete: 58,2% al Sud contro l’80% medio del Centro-Nord. Infine, la percentuale di rete a doppio binario è pari al 31,7% a fronte del 53,4% per la media delle regioni centro-settentrionali».
I dati calabresi riportano un 37,3% di linee fondamentali e di nodo, il 57,3% di rete elettrificata, il 32,7% di rete a doppio binario.
«Per ciò che riguarda la rete dell’Alta Velocità, nelle regioni meridionali lo sviluppo è di 181 km (interamente in Campania)», sottolinea la Svimez ricordando che si tratta di appena il 12,3% del totale nazionale.
La nota getta uno sguardo anche ai sistemi urbani: «Le città capoluogo del Sud dispongono di una dotazione complessiva di reti tramviarie pari a 42,6 km ovvero l’11,2% del totale nazionale, di reti metropolitane pari a 25,7 km (13,5% del totale nazionale) e di reti filobus pari a 74,2 km (quasi un quarto del totale nazionale)».
Le infrastrutture idriche
Il divario si registra anche sul fronte idrico. Due gli aspetti presi in considerazione: depurazione e perdite nelle reti di acqua potabile. Rileva la Svimez: «La regione italiana caratterizzata dalla quota significativamente più elevata di popolazione regionale senza accesso al servizio di depurazione è la Sicilia (13,1%). Significativo è anche il ritardo di Calabria (5,3) e Campania (4,4)».
Per quanto riguarda il secondo aspetto, «la situazione è particolarmente critica nel Sud (50,5%) e nelle Isole (51,9%), dove 7 regioni su 8 fanno registrare un dato peggiore della media nazionale per quota perdite». Tra queste, la Calabria.
Il Ddl Calderoli
Il capitolo finale della sua analisi la Svimez lo dedica all’autonomia differenziata. «La presente nota – scrive – cade in un momento particolarmente significativo, collocandosi alla vigilia della fase conclusiva del dibattito parlamentare nell’aula della Camera dei deputati per l’approvazione del Ddl Calderoli, già approvato in Senato il 23 febbraio 2024. La Svimez ha segnalato, anche in una recente occasione di confronto istituzionale, le anomalie delle modalità attuative dell’autonomia differenziata rispetto a un percorso costituzionalmente corretto, finanziariamente sostenibile e coerente con i princìpi di equità e solidarietà nazionale, entro il quale dovrebbero essere inquadrate le richieste di attuazione dell’articolo 116 comma terzo».
«L’approvazione nella veste attuale del citato Ddl – prosegue – avrebbe significative conseguenze che comprometterebbero l’attuazione della delega legislativa in materia di federalismo simmetrico previsto dalla prima legge Calderoli. In particolare, il Ddl vanificherebbe l’obiettivo del superamento del criterio della spesa storica nelle materie extra-Lep, accentuerebbe le problematicità del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, e pregiudicherebbe il superamento dei divari regionali nelle dotazioni infrastrutturali, considerato il concomitante definanziamento del fondo di perequazione infrastrutturale».