La missiva di una lavoratrice in vista del prossimo incontro tra sindacati e azienda. C'è la possibilità che si decida di ricorrere ad un bando pubblico per l'assunzione di lavoratori nel periodo estivo
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«Ho 39 anni e dal 2011 lavoro come addetto di scalo stagionale nell’aeroporto di Lamezia Terme. Otto anni da precaria. Nulla in confronto ai tredici anni di precariato in cui versano alcuni dei miei colleghi OUA (operatore unico aeroportuale). Tuttavia nel 2018, in seguito ad alcune trattative tra azienda e sindacati, si parla finalmente di stabilizzare un primo gruppo di stagionali. Non saprei spiegarvi il perché ma alla fine tutto cade nel dimenticatoio e, il sogno di un contratto a tempo indeterminato svanisce. E’ una sera di dicembre, prima delle festività natalizie, amareggiata decido comunque di provare a fare qualcosa. Una cosa piccola ma per me un gesto significativo, che dovevo a me stessa». Inizia così la lettera scritta da Consuelo Anello, una delle lavoratrici dello scalo internazionale di Lamezia Terme che ha prestato servizio alla Sacal fino a settembre sotto la dicitura di “lavoratrice stagionale”.
Tanti gli stagionali che ad un certo punto la società ha deciso di lasciare a casa, proprio mentre questi si aspettavano, al contrario, una stabilizzazione. Da qui l’inizio di una lotta a colpi di comunicati stampa, incontri ma anche un sit in che è in corso da settimane davanti ad una delle entrate dell’aeroporto. In poco tempo il loro simbolo diventa quel gilet giallo che indossavano per lavoro. Ad avere l’idea la stessa Consuelo. Una resilienza la loro che si scontra con una notizia: «Veniamo a sapere che l’azienda, al prossimo incontro con i sindacati, proporrà di fare un bando pubblico per poter creare un bacino di stagionali da cui attingere per la stagione estiva. Ma se io sono stagionale da otto anni perché devo partecipare a un bando per continuare ad essere stagionale? Ma dove sono finite le stabilizzazioni?» si chiede Consuelo. «Quindi, nonostante l’esperienza, la formazione, nonostante le certificazioni ottenute, necessarie per il nostro lavoro, ci ritroviamo al punto di partenza. Invece di fare passi avanti verso il futuro, ci ritroviamo catapultati nel passato, agli inizi del nostro percorso. Dobbiamo nuovamente dimostrare di avere i requisiti per lavorare in aeroporto».
«Allora mi chiedo chi sono io per la mia azienda? O meglio cosa sono? Sono un’unità, un turno da assegnare, un imbarco da coprire, un check in da aprire, un’ora di straordinario, sono un costo. Sono tante cose ma non la più importante: una risorsa. Ma invece io voglio dirlo con tutte le mie forze: Io sono una risorsa per la mia azienda, che ho contribuito a far crescere con il mio lavoro, impegno, professionalità. Non mi sento più una stagionale - dice ancora Consuelo -ma una lavoratrice a tempo indeterminato, il mio posto me lo sono guadagnato e mi dovrebbe essere garantito, non messo in discussione da un bando. Io sono una lavoratrice la cui dignità è stata mortificata, e il cui valore non viene riconosciuto». «Ma il tempo delle parole – conclude - è finito, ora è il momento di togliere il mio gilet giallo riporlo nel cassetto insieme ai miei sogni e, aspettare la decisione di un azienda, di cui ormai mi sento parte integrante, che forse mi condannerà, ancora per molto tempo, ad essere una “stagionale stagionata”».
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