L'agrume tardivo di Villa San Giuseppe è presidio Slow Food con la consacrazione in occasione dell'evento internazionale "Terra Madre Salone del Gusto" di Torino
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In passato ha rappresentato una risorsa importante del comparto agricolo contribuendo a sostenere l'economia delle zone a maggiore vocazione a nord della città di Reggio Calabria. Da poco è anche diventata presidio slow Food con la consacrazione in occasione dell'evento internazionale "Terra Madre Salone del Gusto" di Torino. È l'arancia Belladonna di San Giuseppe, agrume a maturazione tardiva e a polpa bionda, a cui è legata la realtà della frazione Villa San Giuseppe, nella parte settentrionale della città di Reggio, ma che allarga la sua sfera di interesse anche nel territorio di fondovalle tra le fiumare del Gallico e del Catona, la fascia pedemontana dell'Aspromonte e lo Stretto.
Il periodo di maturazione di questo agrume ricade tra i mesi di aprile e maggio ma può spingersi fino a giugno. I frutti sono di pezzatura media (circa 200 grammi) e hanno forma ovoidale e buccia sottile. La polpa è bionda, molto ricca di succo, con pochissimi semi. Le arance belladonna di San Giuseppe sono ottime mangiate fresche, ma possono anche essere trasformate in marmellate e scorzette candite. Dopo la presentazione ufficiale alla stampa a Torino e a Reggio Calabria, nella conferenza organizzata dalla Città Metropolitana, i produttori e la comunità di Villa San Giuseppe hanno festeggiato in casa il presidio Slow Food con l'avvio della campagna di raccolta di questo frutto succoso che rappresenta l'identità produttiva e paesaggistica di questa parte del territorio reggino, come documentano alcuni studi datati 1863.
Un agrume che fino agli anni '70 sosteneva l'economia di queste zone perché il suo prezzo sul mercato, rispetto ad altri prodotti agricoli, era molto più remunerativo. La speranza, adesso, è che gli obiettivi di difendere la produzione dall'estinzione, promuoverne la conoscenza e lo sviluppo commerciale salvaguardando il paesaggio, si possano più agevolmente raggiungere. In ciò, secondo gli auspici di quanti credono in questa produzione identitaria, favorendo anche uno strumento in grado di attivare microeconomie, far nascere e crescere filiere locali, difendere il suolo dall'abbandono e dal rischio idrogeologico che ne deriva, assicurando futuro alla comunità che lo abita.