Le colture autoctone sono un patrimonio della biodiversità locale. Ogni territorio però declina in modo diverso e originale anche il più globale dei vitigni
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Mario Bruni al Vinitaly 2025
Vinitaly 2025: preoccupano di più le azioni (spinte da chi?) volte a promuovere il vino dealcolato, che diventerebbe una sorta di succo d’uva sottoposto a procedimenti chimico-fisici, e quindi industriali, che non i dazi americani. Ecco perché tutto il mondo del vino si sta sbracciando per ricordare al mondo che ci sono tanti centenari in giro che nella loro vita, ogni sera, hanno bevuto due buoni bicchieri di vino rosso.
Personalmente sono sempre stato contrario alle crociate sul cibo e sugli stili di vita, dietro le quali quasi sempre si nascondono interessi colossali. Se il vino resterà essenzialmente un prodotto agroalimentare, in cui l’uva e i diversi territori saranno ancora i veri protagonisti, io rimarrò saldo da questa parte. La vera battaglia epocale va combattuta, invece, contro le spinte globaliste tese a ordinarci che cosa dobbiamo fare ogni santo giorno, uniformando e standardizzando i nostri modi di agire e finanche ciò che mangiamo.
Sarebbe comodo per alcuni, e altamente lucroso, ottenere che miliardi di esseri umani mangino tutti le stesse sottilette, e si dissetino a base di bevande create in laboratorio con quattro soldi. Io voglio morire, all’età che Dio deciderà per me, mangiando le ricotte dei pastori, le carni degli allevatori, il grano dei contadini e il vino dei vignaioli.
Ora apriamo un altro tema, sempre vivo al Vinitaly. Vitigni autoctoni o vitigni internazionali? I vitigni autoctoni rappresentano un patrimonio strategico di biodiversità, ma occorre pur dire che la definizione di autoctono è poco scientifica, nel senso che qualsiasi vitigno al mondo è arrivato in una certa regione in un dato momento. Ed è arrivato perché ce lo ha portato qualcuno o per mutamenti genetici continui, naturali o indotti, a partire da uve selvatiche o addomesticate. La definizione più calzante, quindi, ma sempre aperta ad approfondimenti del caso, sarebbe quella di vitigno antico. Autoctono è un’estensione semantica e affascinante di antico. Dall’altro lato ci sono i vitigni internazionali, cioè quelli che per caratteristiche proprie, in genere molto eclettiche, si sono rapidamente diffusi in tutto il mondo negli ultimi decenni. Occorre però precisare che un Merlot coltivato in Francia non è lo stesso Merlot, anche se ne piantiamo un clone, allevato in Calabria, dove aria, sole, luce, terreno e intervento umano sono tutte variabili indipendenti.
Il miracolo Calabria, derivato da un generosissimo regalo di Nostro Signore, nobilita molto anche i vitigni globali e li rende unici, inimitabili, identitari. Ne ho parlato con Mario Bruni, vitivinicoltore di Melissa, proprietario di vigneti che sono dei veri e propri gioielli anche in termini paesaggistici. Melissa, sponda jonica crotonese, confina con l’area del Cirò, della quale parleremo nelle prossime ore. Mario Bruni ha sposato da tempo l’idea di far convivere, nei propri filari, vitigni autoctoni, quali ad esempio il Gaglioppo, e vitigni internazionali (Cabernet Sauvignon, Merlot, Syrah…). Così facendo ha ottenuto risultati che gli stanno dando ragione, in Italia e all’estero.
Il Francesco II, ad esempio, etichetta che richiama contestualmente il compianto padre e il figlio di Mario (immaginate un po’ quanto amore calabrese in questa denominazione!), nasce dalla vendemmia tardiva di Gaglioppo, Merlot e Cabernet Sauvignon. Lungo passaggio in legno: un anno in rovere francese e un altro anno in rovere americano. Oppure guardiamo al San Giù, anch’esso blend di autoctoni e internazionali (Gaglioppo, Cabernet Sauvignon e Syrah). Anche il San Giù matura in barriques di rovere francese e americano (rispettivamente sei e tre mesi). Mario Bruni sta lavorando tanto per valorizzare il territorio in cui la sua famiglia produce uve e vini da generazioni. Ci crede, si sacrifica, lavora sodo, gira in lungo e in largo per parlare dei suoi vini. Quando ti spiega i suoi progetti è un fiume in piena. Incalzato dalle mie domande spesso mi risponde: «Questo te lo avevo già detto!». Trucchi del giornalista maturo: verificare sempre!