Con i portuali in lotta contro i licenziamenti e il terminal paralizzato, le aziende dell’indotto segnano il passo e lamentano la paralisi dei traffici che penalizzano Gioia Tauro in favore di altri porti. È un mondo ai più sconosciuto, quello delle case di spedizioni, agenzie doganali e marittime, operatori logistici e aziende che operano nel retroporto di Gioia Tauro. Un mondo cresciuto all’ombra del terminal, ma che dà lavoro a circa 1500 persone.

 

«Premettendo che siamo solidali con gli operai del terminal – ha dichiarato Giuseppe Milardi, uno dei proprietari della Spedilterraneo - i nostri dipendenti non hanno ammortizzatori sociali come quelli del terminal e se il mondo nostro mondo, quello dell’indotto, crolla ne risentiranno tantissime famiglie che si ritroveranno senza lavoro. Una situazione del genere ci dispiacerebbe molto, anche perché noi abbiamo investito molto sul porto. Il terminal rappresenta un perno per l’economia non solo di una città, ma di una intera regione. Si è puntato molto nel corso degli anni su questo terminal che adesso, però, rischia di morire»

 

Gli operatori vogliono sottolineare i danni, forse non percepiti fino in fondo, prodotti da una paralisi così prolungata delle operazioni portuali e della totale assenza delle istituzioni in questo momento rispetto ai problemi dello scalo gioiese.

«Vorrei fare presente che quello di Gioia Tauro è il primo porto in Italia di transhipment che ha chiuso i battenti per più di una settimana – tuona Guarltiero Tarantino, amministratore della Caronte Tourist Logistics -. Una situazione che sta producendo grandissimi danni a tutte le aziende che hanno investito nel retroporto e che, a differenza del terminalista, non hanno mai preso un centesimo dallo Stato. Dietro questo porto c’è tutta un’attività di indotto che dà lavoro a 1500 persone».

 

Una crisi quella di Gioia Tauro che viene da lontano e che, secondo gli operatori del retro porto, non è mai affrontata in modo serio dalla politica. «Noi chiediamo con forza – conclude l’imprenditore Tarantino - che lo Stato faccia da mediatore nello scontro in atto tra il terminalista Mct e l’armatore, l’unico presente a Gioia Tauro, Msc. Fosse successo una cosa del genere in altri porti come Genova o Trieste ci sarebbe stata la rivoluzione, altro che gilet gialli». Infine, la questione della governance portuale, con l’incapacità della politica di arrivare alla designazione di un presidente della Port Authority e il problema degli introiti legati alla fiscalità.

 

«Il problema della governance è centrale – ha dichiarato Antonio Corso, proprietario della Scs spedizioni -, l’Autorità portuale non può andare avanti da quattro anni in commissariamento e senza avere un presidente che abbia competenze di portualità e una visione per il nostro terminal. Un porto come quello di Gioia Tauro non può non essere rappresentato da un vero presidente. Questo calo delle importazioni che ha fatto registrare il porto, inoltre, anche a livello di fiscalità ha prodotto dei danni. La dogana stessa si ritrova a incassare meno dazi, meno iva rispetto ad altri porti». Tradotto in soldoni vuol dire meno denaro che resta sul territorio.