I dati sull'occupazione collocano la nostra regione nei bassifondi delle classifiche nazionali ed europee, un ritardo accentuato ancora più che altrove dall'emergenza pandemica: calabresi sempre più anziani, poveri e senza impiego (ASCOLTA L'AUDIO)
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Se il divario col resto d'Italia e d'Europa in quasi tutti i campi era già ampio, il Covid ha peggiorato ulteriormente le cose e la Calabria dovrà cercare di sfruttare la programmazione 2021-2027 (con i relativi fondi) nel migliore dei modi per provare a colmarlo. A partire dagli investimenti per risollevare il mondo del lavoro. È qui che la crisi si è fatta più sentire, con la già lenta crescita degli ultimi anni bruscamente interrotta dalla pandemia. E a pagarne le conseguenze, com'è ormai conseutudine, sono stati soprattutto i giovani e le donne.
In fuga dalla Calabria
Nel quinquennio 2013-2018 - scrive la stessa Regione - la crescita economica nominale, con riferimento al prodotto interno lordo ai prezzi di mercato valutato ai prezzi correnti, in Calabria è stata cumulativamente del 3,7% in cinque anni, inferiore al 6,1% del Mezzogiorno e soprattutto al 9,5% dell’Italia nel suo complesso. Gli occupati nella fascia d'età da lavoro (15-64 anni) sono aumentati del 3,7%, un dato superiore al resto del Sud Italia (3,3% ) ma sotto il 4,3% complessivo del Paese. E nel 2019 il tasso di occupazione nella stessa fascia di età in Calabria (42%) non raggiunge né il 44,8% del Mezzogiorno né tantomeno il 59% conseguito dall'Italia in generale.
Il problema si ripercuote sul reddito pro capite, che in Calabria sfiora, senza raggiungere, i nove decimi di quello meridionale, per fermarsi a un misero 58,2% di quello nazionale. Un divario economico che invece di ridursi aumenta: nel 2013, infatti, il reddito pro capite regionale era il 91,5% di quello del Sud e il 60,9% di quello italiano.
In una classifica che considera 281 regioni europee la Calabria si colloca al 270° posto per capacità occupazionale dei giovani e al 246° per Pil pro capite. Quanto al lavoro femminile, se in Italia poco meno della metà delle donne ha un impiego - la media in Ue sfiora il 64% - in Calabria la percentuale si ferma al 31%. Ne consegue un alto tasso di emigrazione che, unito al costante decremento della natalità, secondo l'Istat porterà la regione ad avere mezzo milione di abitanti in meno (sempre più anziani, tra l'altro) da qui al 2065.
Sempre meno lavoro
A queste latitudini si studia meno e spesso male ed il mercato del lavoro è il primo a risentirne. Da sette anni a questa parte rimangono sostanzialmente invariati i neet, nonostante nel resto d'Italia siano diminuti: sono circa il 41%, quindici punti percentuale in più del dato medio nazionale. E i livelli occupazionali, con l'arrivo del Covid, sono ulteriormente diminuiti: se in Italia la riduzione rispetto all'anno precedente è stata dell'1,7%, qui il valore è quasi triplicato, attestandosi sul 4,8%.
Rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, nel primo semestre 2020 le ore settimanali lavorate dipendenti in Calabria si sono ridotte del 17%; Il tasso di occupazione scende al 39,1% dal 40,1%. E se anche il tasso di disoccupazione scende al 21,2% (era il 22,7% tra gennaio e giugno 2019), il tasso di attività si riduce al 50,1%. Un anno prima era il 52,2%.
Poco importa la preparazione delle persone considerate, le opportunità di lavoro per chi studia sono sempre meno che altrove: in Calabria il tasso di occupazione dei laureati nel triennio seguito al conseguimento del titolo resta pressappoco identico da anni (tra il 39% del 2013 e il 40% del 2019), mentre è cresciuto dal 38,5 al 41% nel Mezzogiorno e dal 57 al 63,4% in Italia. L’intensità di impiego di ricercatori nelle imprese è pari a circa due terzi di quella del Mezzogiorno (0,3% nel 2018) e a un terzo di quella nazionale (0,6%)
Innovazione, quella sconosciuta
Meno competenze e meno lavoro si traducono in una maggiore diseguaglianza sociale. Perché se è vero che le persone che vivono al di sotto della soglia di povertà in Calabria sono in leggero calo negli ultimi anni (mentre nel resto della nazione aumentano), resta il fatto che il nostro 30% rimane il doppio del 14,7% dell'Italia. E quelli che rischiano povertà ed esclusione sociale tra il Pollino e lo Stretto sono il 44%, quasi il doppio della media nazionale (27%). Qui sono minori gli investimenti fissi lordi sul Pil, tanto quanto la capacità di offrire servizi alle imprese. Sarà perché innovazione e tecnologia restano due tasti particolarmente dolenti: da noi le attività ad alto contenuto tecnologico sono solo l'1%, nel resto del Paese il triplo.
Secondo gli indici statistici fissati dall'Ue per quantificare il livello di innovazione dei territori negli Stati membri (oltre a Norvegia, Serbia e Svizzera) la Calabria è al 203esimo posto tra le 238 regioni analizzate. Solo la Sardegna fa peggio, classificandosi un gradino più in basso nella classifica. Qualche miglioramento negli ultimi anni si è registrato, ma la spesa calabrese in ricerca e sviluppo resta circa lo 0,5% del Pil regionale, poco più della metà di quella del Mezzogiorno e circa un terzo di quella nazionale. La proporzione resta sostanzialmente identica quando si parla della presenza di attività a maggior contenuto tecnologico: qui danno lavoro al meno dell’1% del totale degli occupati nel 2018 contro il 2% circa del Mezzogiorno (media) e il 3,5% dell’Italia.
Tante start up, poca crescita
In Calabria il lavoro è meno produttivo, il valore aggiunto che ogni occupato riesce a dare è inferiore al livello nazionale e a patirne le conseguenze è l'attrattività della regione, con una presenza di imprese straniere dell'1,7%. In Italia, in media, è dell'8%. Ne fanno le spese pure le esportazioni, che rappresentano soltanto l'1,7% del Pil calabrese, percentuali notevolmente inferiori al 12,7% del restante Meridione e al 26,3% dell'intero Paese. Tranne per il settore agroalimentare (invariato) e quello di gomma e materie plastiche (cresciuto del 3,8%), l'export regionale è diminuto di oltre il 15% nel 2019, per ridursi ancora di quasi il 9% nel primo trimestre del 2020, quando il Covid ha iniziato a colpire il commercio internazionale.
Poche le nuove piccole e medie imprese innovative che nascono. Va meglio con le start up, che ci vedono primeggiare nel Centro-Sud per numero. Ma i dati, che risalgono a giugno 2020, registrano un misero +0,37% rispetto a fine 2019. E, soprattutto, devono tener conto del basso tasso di sopravvivenza delle nuove imprese in terra calabra: storicamente a queste latitudini la metà di loro, se partita con un capitale inferiore ai 10mila euro, ha chiuso nel giro di 5 anni. E quasi tutte piccole erano e piccole sono rimaste dal punto di vista del fatturato e dei posti di lavoro creati. Solo il 3% del totale ha riportato una crescita significativa per almeno un triennio. A pesare, in questo caso, è anche la scarsa efficienza dei servizi informatici offerti dalla Pubblica amministrazione alle imprese, la cui competitività non può che risentirne: stando agli ultimi dati disponibili (2018) solo un terzo dei comuni calabresi offriva servizi pienamente interattivi.
La terra del reddito di cittadinanza
Alla crisi occupazionale Governo e Regione hanno provato a rispondere con licenziamenti bloccati, ammortizzatori sociali e stanziamenti vari. Ma in Calabria sono rimasti fuori in tanti, perché in Italia nessuno può contare su un numero maggiore di lavoratori irregolari: quasi il 22% del totale stimato dall'Istat. Ma sono parecchi anche quelli che hanno beneficiato delle misure di sostegno. Secondo l'Inps, al 22 maggio in Calabria erano state accolte poco meno di 166mila richieste di bonus da 600 euro, per un totale di quasi 100 milioni da erogare. Il numero di sussidi in rapporto alla popolazione tra i 15 e i 70 anni è risultato superiore alla media nazionale (11,9 e 9,3 per cento, rispettivamente, in Calabria e in Italia). Più della metà delle nostre famiglie (il 53,4%) non può contare su un componente con contratto a tempo indeterminato. Due persone su cinque, poi, erano impiegate in attività che hanno subìto chiusure in questi mesi, con tutto quello che ne consegue in termine di difficoltà economiche. I nuclei familiari calabresi in povertà assoluta, ossia con una spesa mensile inferiore a quella necessaria a uno standard di vita ritenuto accettabile, sono oggi il doppio del resto del Paese. A dimostrarlo, i percettori di reddito di cittadinanza: in Italia sono il 4% dei cittadini, al Sud l'8%, in Calabria il 9%. E se l'erogazione media mensile nel 2019 ammontava a 490 euro a famiglia, nel primo quadrimestre del 2020 l'importo è salito a 530 euro, con i beneficiari aumentati dell'8,6%.
giuliani@lactv.it