Non sono neo-oscurantisti i difensori dell'inalienabile dimensione umana del vivere. L'ennesima partita colossale delle multinazionali globaliste. Scendano in campo filosofi, intellettuali e comunicatori
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Il confronto politico sul “no” al cibo artificiale non è una guerra santa fra quanti credono nella scienza e quanti altri, invece, la rifiutano con ottica luddista. La crociata contro l'alimentazione creata in laboratorio è prima di tutto filosofica e culturale perché difende il diritto degli esseri umani a non distruggere l'irrinunciabile rapporto simbiotico con la natura. Non siamo e non vogliamo diventare macchine o robot. Gli illuministi del XXI secolo non sono certo i propugnatori della carne sintetica generata con l'uso di ormoni e di sofisticate tecnologie bensì, al contrario, vestono i panni degli alleati della biodiversità, dell'agricoltura sostenibile e quindi rispettosa dell'ambiente, delle filiere agroalimentari biologiche, delle grandi aziende produttrici che proprio grazie allo sviluppo scientifico non necessitano di inquinare il pianeta, accanto però agli orti urbani, ai contadini, ai mercati rionali, agli alpeggi, alla transumanza, alle nicchie di qualità e ad ogni forma possibile di tutela della dimensione umana del vivere. L'accusa di neo-oscurantismo deve essere sapientemente ribaltata.
Se una critica si può muovere al Governo nazionale e a Coldiretti sulla battaglia sacrosanta che stanno conducendo contro l'imperialismo globalista di voraci multinazionali, è quella di non aver fatto scendere in campo gli intellettuali, i pensatori, i comunicatori in grado di sostenere lo scontro dialettico a un livello più alto, nel senso di “non tecnico”. Per contrastare i disegni autocratici dei produttori di carne artificiale non è sufficiente, infatti, affrontare solo gli aspetti scientifico-economici di questa tragica rivoluzione. Occorre, piuttosto, parlare di che idea abbiamo della vita, dell'esistenza, del futuro dell'umanità tutto. Io sto con Pitagora e con la civiltà della Dieta Mediterranea, questo dovrebbe essere il concetto con il quale affondare le portaerei, anche mediatiche, dei colossi dell'industria tecnologica che hanno fiutato affari e fatturati giganteschi e, soprattutto, ambiscono a un nuovo sofisticatissimo strumento di controllo degli esseri umani.
Non bastano più i computer, internet, i satelliti, i telefoni cellulari, i social che ci hanno trasformato in un pollaio universale in cui siamo tutti controllati, censiti, targettizzati, inquadrati e orientati. Ora qualcuno vuole decidere anche, dopo il trionfo dei fast food, che cosa dobbiamo mangiare ogni giorno e ogni ora, privandoci persino del diritto al gusto, alla varietà, alla territorialità, alle tradizioni, all'identità, alla diversità che significa ricchezza, democrazia, tolleranza. A breve potrebbe accadere che gli hamburger degli identici panini venduti nei cinque continenti non avranno più bisogno delle vacche e dei vitelli allevati in Europa, ma giungeranno direttamente da una fabbrica asettica governata da macchine e provette.
La Calabria che nel Novecento non ha vissuto, per fortuna, processi troppo devastanti di industrializzazione, e che pertanto detiene la memoria di un modello sociale tanto antico da aver ereditato lo spirito dei sissizi enotri, può giocare una partita fondamentale in quest'ennesima sfida globale. Una regione culla della Dieta Mediterranea può insegnare al mondo com'è giusto vivere e che cos'è la nutrizione sana, rispettando le caratteristiche inalienabili dell'essenza dell'Uomo. Noi siamo figli di Dio (ognuno si scelga la religione che vuole!) e non di menti deviate che intendono disumanizzare il Creato. Dal Mediterraneo greco-romano, ebreo, arabo, cristiano, musulmano, che vede al centro proprio la Calabria anche nella sua dialettica storica, dovrebbe partire un messaggio potente per inserire nelle Costituzioni e nei Trattati Europei e Internazionali il Diritto a rimanere Umani.
Si investa sempre di più sull'agricoltura e sugli allevamenti sostenibili, invece che in invenzioni scientifico-tecnologiche potenzialmente molto pericolose se non addirittura devastanti. Si spendano miliardi e miliardi per far affermare le energie rinnovabili (acqua, sole, vento, idrogeno...) e non per “giocare” con il Dna e le cellule umane o animali. Non ci serve un'immortalità che ci trasformi in automi, in zombie. Noi crediamo in un'altra immortalità, quella dell'anima. La scienza fine a se stessa, non supportata dai “filosofi”, come ci insegnarono Pitagora, Platone ed anche lo stilese Tommaso Campanella, è un rischio altissimo e non una risorsa. Muoviamoci finché siamo in tempo, ma si raddrizzi subito il timone del confronto.