La testimonianza di un consulente informatico e delle sue esperienze lavorative da remoto: «Un’opportunità, ma in Calabria le infrastrutture sono ancora inadeguate»
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Un’opportunità per fermare lo spopolamento nelle aree interne del Sud, compresa la Calabria. Lo smart working può rappresentare davvero un’occasione per le regioni del Mezzogiorno. A pensarla così sono anche tantissimi calabresi costretti a lasciare le proprie famiglie per lavorare.
Negli ultimi giorni abbiamo raccolto le testimonianze di diversi giovani che hanno lanciato un appello alle istituzioni affinché investano in questa direzione anche con infrastrutture digitali adeguate e una connessione Internet veloce e stabile.
Ma lavorare in smart working può incidere in maniera positiva anche sulla vita privata. Da questo aspetto parte la riflessione di Francesco Mosca, giovane informatico calabrese.
«Va da sé che le riflessioni da fare su questi due modi di lavorare innovativi sarebbero tanti e molteplici, una fra tutte riuscire a ottimizzare il concetto di work/life balance, ovvero il bilanciamento tra lavoro e vita privata. È proprio questo aspetto su cui vorrei soffermare la mia riflessione, le opportunità che si potrebbero ottenere in termini di work/life balance, lavorando in maniera innovativa al Sud, e quindi in regioni come la Calabria, Sicilia, Puglia. In sintesi i vantaggi ad essere un South Worker».
Francesco racconta alla nostra testata la sua esperienza lavorativa: «Da consulente nel mondo dell’informatica ho svolto quasi tutte le mie mansioni lavorative da remoto, poiché eravamo full su questa modalità, seppur una delle sedi della mia azienda era su Roma.
Il mio ufficio quindi era al quinto piano di un condominio, con vista panoramica sui monti della Sila, sembra una cosa sciocca e banale questa riflessione ma vi posso garantire che sorseggiare un caffè caldo immersi nel verde e volgendo lo sguardo sui monti ha un beneficio non di poco conto da un punto di vista fisico e mentale. Avevo la possibilità di fare jooging la mattina alzandomi comunque ad un orario decente o in pausa pranzo, il tutto scandito da tempi più rilassati tra il lavoro e le attività legate alla vita privata. Avendo un’azienda di famiglia riuscivo anche a supportare mio padre su alcuni processi e decisioni aziendali».
Il tutto «senza nessuno spreco di tempo immerso nel traffico, riducendo notevolmente il mio impatto ambientale, poiché per raggiungere l’azienda in macchina impiegavo dai 45/60 minuti, per un tratto oltretutto ragionevole in termini di km».
Ma non è tutto oro quello che luccica. Infrastrutture inadeguate e mancati investimenti: partendo da questi due aspetti Francesco sottolinea le criticità riscontrate lavorando in smart working in Calabria. «Il sud non ha ancora le infrastrutture adeguate a permetterti di raggiungere una città come Roma durante una giornata, le aree montane e dell’entroterra risentono molto di questo gap. La politica e le amministrazioni non hanno fatto nulla per attirare le aziende ad investire in Hub che potessero essere fondamentali per valorizzare la cultura aziendale e favorire quindi l’interscambio personale».
E ancora: «Le infrastrutture tecnologiche sono in alcune aree inefficienti e scarse, la fibra per alcune aree è ancora un traguardo innovativo da raggiungere. Essendo pochi ancora i south woorker al sud le interazioni tra ragazzi innovativi e dinamici sono poche e quindi i contesti caratterizzati da comunità piccole e con un’età molto avanzata risultano poco stimolanti. Ovviamente – conclude Francesco - se si puntasse realmente a intercettare chi ha la possibilità di lavorare da remoto, questo avrebbe degli impatti in termini economici non di poco conto sia per i south worker che per le comunità in cui questi lavorerebbero».