Studi storici e scavi archeologici hanno documentato l’esistenza nell’antico Bruzio di una civiltà del vino che meriterebbe un’attenzione strategica. Se ne parlerà al Vinitaly?
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La vitivinicoltura di Calabria può vantare radici identitarie antichissime, nobilissime e distintive che andrebbero finalmente valorizzate al massimo perdendo meno tempo con roteazioni di bicchieri, sentori di questo e di quello, premi e luoghi comuni, fatte salve quelle iniziative davvero capaci di imprimere svolte decisive e misurabili in termini di risultati (fatturato, export, livelli produttivi, posti di lavoro, aumento del prezzo medio, ecc.).
Abbiamo dimostrato su LaCNews24, presentando numeri e statistiche ufficiali, e provocando anche qualche mal di stomaco da chi evidentemente preferirebbe nascondere la verità, che la Calabria è una regione in cui il vino rappresenta una nicchia. I dati 2022, basati sulle dichiarazioni ufficiali Agea, e pubblicati da “Vino in Cifre” (Uiv), ci dicono che nelle cinque province calabresi è stato prodotto appena lo 0,26% di vini e mosti generati in Italia, e lo 0,23% dei vini Dop (rossi, bianchi, rosati, passiti…). Essere piccoli non è una ferita o un male irrecuperabile, è una condizione da metabolizzare con intelligenza e serietà, e che può rivelarsi anche un vantaggio competitivo, purché si riesca a spiegare al mondo intero che si è unici, particolari, inimitabili, figli di storie, tradizioni, saperi, natura, ambiente e biodiversità che, nel loro complesso, danno vita a “terroir” che meritano straordinaria attenzione.
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La qualità buona o addirittura ottima raggiunta da diverse cantine della regione va sottolineata con entusiasmo, dando merito agli sforzi generosi di valenti imprenditori che, in alcuni casi, hanno anche saputo utilizzare al meglio i fondi pubblici. La qualità, però, da sola non è sufficiente a conquistare i mercati nazionale e internazionali, e quindi deve essere assunta come una precondizione irrinunciabile. Accanto alla qualità occorre un racconto autentico che faccia leva su “asset” decisivi che in Calabria hanno un marchio indelebile e prezioso: la storia.
Da alcuni anni conduco una battaglia culturale solitaria che ha dato vita ad alcuni saggi pubblicati in più libri ed edizioni. L’ultima “fatica” si intitola “Dai Sissizi di Re Italo alla Dieta Mediterranea”, un saggio molto corposo, documentato, articolato e ricco di note e riferimenti bibliografici, nel quale il terzo paragrafo è dedicato a un tema suggestivo: “Enotria terra del vino: oinotron, il palo secco della vite… La Calabria salvaguardi e valorizzi la Coltura della Vite ad Alberello Enotrio”. Un cammino di studio, ricerca e intuizioni originali iniziato diversi anni fa e che vide anche la presentazione di un apposito opuscolo durante un convegno organizzato al Vinitaly 2018, al quale presero tra l’altro parte l’architetto Francesco Macrì e l’economista Maurizio Bisconte (entrambi calabresi ed anche produttori di vino). Tento di spiegare da circa un decennio che schiacciare la dimensione vitivinicola calabrese sul periodo della Magna Grecia, per quanto esperienza luminosa e giganteggiante, è un errore grave, perché la Calabria è stata, diversi secoli prima che i coloni ellenici fondassero colonie nello Stretto e sulla costa jonica, Enotria (Oinotría). La presenza degli Enotri in Calabria è documentata sia da studi storici scientifici (ricordo tra tutti quelli pregevolissimi della professoressa Giovanna De Sensi Sestito, e chiedo scusa se non posso citarne altri), sia da evidenze archeologiche (si pensi a Renato Peroni e agli scavi condotti nella Sibaritide).
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Ho urlato con la voce più alta possibile che l’etimologia di Enotria ed Enotri, secondo eminenti esperti, non deriverebbe da “oinos” (vino), bensì da “oinotron” (palo secco che regge la vite). Non ho la possibilità, in questo articolo, di riassumere il citato terzo capitolo del mio volume, ma mi fa piacere accennare ad Attilio Scienza che, ragionando di centri di domesticazione della vite e ripercorrendo, diciamo così, la teoria primaria che individua il punto di partenza nell’area siro-anatolica-mesopotamica, a partire dal IV millennio a.C., per poi passare alla Grecia e quindi all’Italia meridionale e alla Sicilia (centri terziari di domesticazione), ad un certo punto è portato a riflettere sulla dimensione enotria affermando che la coltivazione della vite «non era estranea alla cultura degli italioti prima dell’arrivo dei greci che questi chiamano gli indigeni Enotri per le modalità
di allevamento della vite con il palo secco (in greco “oinotron”, palo per la vite), sconosciuto nel Mediterraneo orientale». Nel mio saggio, viaggiando tra storia, archeologia e trattati di vitivinicoltura, ad un certo punto mi chiedo testualmente: «Enotri inventori o intelligenti utilizzatori del palo secco? Un argomento da sottoporre a ricerche multidisciplinari e rispetto al quale tutto il mondo della vitivinicoltura calabrese, comprese le istituzioni che se ne occupano, sconta un ritardo notevole in termini di potenzialità enormi da sfruttare a livello mondiale, a partire da quelle di natura culturale e identitaria». Mi si perdonerà l’autocitazione, ma ho coniato anche la definizione di “Alberello Enotrio”, tema sul quale la Calabria enologica potrebbe giocare una partita epocale.
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Faccio presente che la storiografia tradizionale data l’arrivo degli Enotri nell’antica Calabria, dicendoli provenienti dall’Arcadia (Peloponneso), diciassette generazioni prima della Guerra di Troia, e quindi attorno alla metà del XVII secolo a.C. Ora, senza addentrarci in argomenti complessi, possiamo senz’altro affermare, con il supporto di diversi studi scientifici, che una Civiltà Enotria (e del palo secco della vite) si afferma in Calabria diversi secoli prima della nascita delle più importanti colonie elleniche (Reggio, Sibari, Crotone…) che si fa risalire, com’è noto, alla seconda metà dell’VIII secolo a.C.
In una Calabria in tutt’altre faccende affaccendata ho lottato per anni, sul piano culturale e mediatico, per concentrare l’attenzione del mondo vitivinicolo sulla stagione dell’Enotria. Ora leggo che al Vinitaly 2024, domenica 14 aprile alle ore 14.00, si terrà un incontro sul tema “Dove tutto è cominciato. Enotria, Magna Grecia e Vinitaly: le radici del futuro”. Enotria, finalmente! Ascolterò con attenzione, anche se a mio avviso sarebbe stato utile integrare l’elenco dei relatori con alcune presenze significative. Ma sarebbe stato chiedere troppo, e quindi per ora accontentiamoci che l’Enotria abbia mosso un piccolo passo. Si riuscirà a far parlare anche della teoria dell’Alberello Enotrio partorita in Calabria? Vedremo! Noi intanto continuiamo a ricordarlo.