VIDEO | Si allarga la forbice tra le regioni settentrionali e quelle del Mezzogiorno. Le risorse del Pnrr una opportunità per cambiare rotta
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Il divario tra il Nord ed il Mezzogiorno d'Italia in termini di sviluppo e di reddito pro capite, è un unicum rispetto agli altri paesi avanzati dell'Europa, assimilabile solo alla situazione in cui si è venuta a trovare la Germania Est, all'indomani della riunificazione, e che però sta osservando da almeno due decenni, una decisa convergenza verso le condizioni socio economiche della Germania Ovest.
Sottosviluppo persistente
In Italia invece, il sottosviluppo del Sud è persistente, acuito dalla crisi del 2008. L'impietosa fotografia è stata scattata da Bankitalia e trascritta nel rapporto presentato nell'aula Caldora dell'Università della Calabria nel corso di una iniziativa articolata in due fasi. Quella introduttiva, coordinata da Massimo Costabile, direttore del dipartimento di economia statistica e finanza dell'ateneo, è stata scandita dalla presentazione dello studio a cura di Marcello Malamisura, direttore della filiale di Catanzaro della Banca d'Italia, di Giuseppe Albanese, funzionario anch'egli della filiale di Catanzaro e di Antonio Accettaturo del servizio struttura economica della Banca d'Italia.
Economisti a confronto
La seconda parte, coordinata da Roberto Torrini, vice capo servizio della struttura economica della Banca d'Italia, si è sviluppata attraverso una tavola rotonda con gli interventi dei docenti di politica economica Francesco Aiello, dell'Unical, e Vittorio Daniele della Magna Grecia di Catanzaro, di Flavia Martinelli, docente di politiche e strategie della coesione territoriale della Mediterranea di Reggio Calabria, di Rosanna Nisticò, docente di economia applicata all'ateneo di Rende. Dall'analisi dei dati è emerso come l'Italia accusi in generale un arretramento rispetto alle altre economie europee: negli anni novanta la penisola poteva contare un reddito procapite superiore del 10 percento rispetto alla media dell'Eurozona. Oggi invece arranca e registra un gap che si è consolidato durante il periodo pandemico. In sostanza l'Italia stenta. Ed in seno all'Italia c'è un Mezzogiorno che stenta di più.
Senza il Sud l'Italia non cresce
Lo schema è semplice: l'Italia non avanza se il Meridione non cresce. L'analisi degli esperti è utile anche per individuare le criticità ed intervenire con gli opportuni correttivi per modificare la situazione registrata nel decennio passato, oggetto dello studio. Il Sud – è stato sottolineato – paga il sottodimensionamento del tessuto produttivo privato. Per cui deve contare molto sull'intervento pubblico. Nelle regioni meridionali risiede un terzo della popolazione nazionale, ma vi è concentrato solo un quinto dell'iniziativa privata, per lo più relativo ai servizi del terziario e non al comparto industriale e manifatturiero.
Spopolamento e invecchiamento
Il fragile tessuto produttivo alimenta la migrazione e con essa, il depauperamento del capitale umano. Sul piano demografico questo fenomeno determina non solo lo spopolamento ma pure l'innalzamento dell'età media di chi rimane. Tra gli altri fattori che mantengono il Sud al palo vi è poi il costo del denaro, maggiore rispetto al Nord in virtù del più alto rischio di insolvenza, la lentezza della giustizia civile, con la durata delle controversie fino all'80 percento più lunga, e naturalmente le ripercussioni dovute alle infiltrazioni della criminalità organizzata che ogni anno erode una quota di Pil tutt'altro che secondaria.
Il taglio degli investimenti pubblici
Oggi poi si paga lo scotto della crisi dei debiti sovrani e del consequenziale taglio degli investimenti pubblici in un'area in cui l'impiego di risorse per la digitalizzazione e le infrastrutture potrebbe, al contrario, determinare un cambio di paradigma. Nel passato il trasferimento di somme ingenti, si pensi agli interventi finanziati dalla Cassa per il Mezzogiorno, ha prodotto un incremento del Pil. Ma l'effetto è stato di breve durata, limitato al decennio del boom economico degli anni sessanta, anche per la programmazione tutt'altro che lungimirante che accompagnò quell'impiego di denaro, spesso disperso in interventi a pioggia e mille rivoli.
200 miliardi disponibili
Il Pnrr e le altre linee di finanziamento disponibili per le regioni meridionali, si parla di circa 200 miliardi da spendere entro il 2030, dovranno seguire un'altra logica. «Il Sud ha delle possibilità di ripresa se si agisce sui fattori di ritardo che hanno causato l'ampliamento del divario - ha detto Marcello Malamisura sottolineando l'importanza del rapporto di Bankitalia - Spendere le risorse nel modo corretto e nei settori più appropriati, può fare la differenza. Il nostro ruolo istituzionale è analizzare i dati e fornirli ai decisori politici cui spetta poi il compito di determinarsi nella maniera più opportuna - ha chiosato il direttore della filiale di Catanzaro - Non sprecare l'occasione del Piano di Ripresa e Resilienza è un dovere nei confronti del Paese, ma anche dei nostri figli».