Il lavoro sommerso nel comparto agricolo incide, in Italia, del 32%, lo rileva una indagine Eurispes e Uila, Unione italiana lavori agroalimentari. Il dato percentuale è in netto peggioramento se consideriamo che nel 2011 era del 27,5%.
Il problema è più presente al sud dove le unità di lavoro non regolari superano il 25% del totale, con Campania e Calabria in testa. I dati emersi dal rapporto son scoraggianti, l’economia sommersa nel nostro Paese ha generato a partire dal 2007 almeno 549 miliardi di euro l’anno.


Il rapporto fa luce anche su i salari, ben al di sotto del minimo sindacale. C’è, addirittura, chi riceve 20 euro al giorno per dodici ore di lavoro nei campi. "I lavoratori in nero dei campi di tanta parte del territorio italiano, si legge nel dossier, sono dunque i nuovi schiavi. Isolati ed invisibili, vivono spesso in baraccopoli che costituiscono veri e propri ghetti".


Secondo il segretario generale della Uila Stefano Mantegazza, "i dati della ricerca mostrano che il lavoro nero e irregolare rappresenta per l’Italia, molto più che per gli altri paesi europei, una realtà grave e di ampia dimensione con la quale il Paese deve fare i conti e deve farli in fretta. Non possiamo permetterci di presentarci all’appuntamento di Expo 2015 con un’agricoltura che nel definirsi di qualità nasconde dietro di sè un’incidenza di oltre il 30% di lavoro nero o irregolare".


"Occorre, continua Mantegazza , che governo e parlamento diano un segnale forte e chiaro in tal senso, trasformando in legge la proposta unitaria di Fai-Cisl, Flai-Cgil e Uila-Uil, che mira a realizzare una rete del lavoro agricolo per promuovere e gestire l’incontro domanda-offerta di lavoro in un quadro di trasparenza e incentivazione per le imprese virtuose".