È Giuseppe Bosco, ex operaio Enel cinquantenne, che alle prime luci dell’alba di oggi è salito sul secondo anello della ciminiera ovest della dismessa centrale elettrica di Rossano, a circa 80 metri da terra, per protestare. È senza lavoro e cerca un sostentamento per la sua famiglia e per i propri figli.  

Successivamente all’esperienza lavorativa proprio a servizio dell’impianto di contrada Cutura, qualche anno fa, dopo che le prospettive di riconversione dell’impianto erano definitivamente tramontate, decise di licenziarsi quale dipendente della società energetica, con la prospettiva di una nuova occupazione. Pensando, magari, di potersi ricollocare in una delle aziende dell’indotto che da li in poi si sarebbero occupate dello smantellamento della struttura.

«Per la dismissione si doveva utilizzare manodopera locale»

Da allora in avanti, però, è iniziato il calvario lavorativo di Giuseppe Bosco, che in quel luogo in cui aveva lavorato per anni, per lui non c’era più spazio, nemmeno nella fase di dismissione. Ed è questo che oggi lamenta e che lo ha portato, stamattina, a salire su una delle altissime torri della centrale. «Voglio lavoro – ha detto ai microfoni di La C – anche perché le attività di smantellamento all’interno della centrale stanno andando avanti e si sta utilizzando manodopera non locale. Perché – si chiede – nell’assunzione degli operai non è stata data priorità a chi è del posto?»

Enel e l’incapacità della politica locale

E qui, ovviamente, subentra la capacità della politica del territorio che in quanto ai rapporti con Enel, davvero non ne ha azzeccata mai una. A partire dalla nascita dell’impianto, ad inizio degli anni ’70, per finire all’attuale stallo del programma Futur-E volto a garantire un riutilizzo della grande area della centrale me quindi nuovi posti di lavoro, passando per quella mancata opportunità di riconversione dell’impianto, ipotizzata nel decennio scorso, durante la quale le istituzioni territoriali non hanno saputo mettere sul tavolo delle trattative un’alternativa valida e concreta all’idea di una riconversione a carbone della centrale di Cutura.

Bosco vuole parlare solo con l’Arcivescovo

Insomma, questo gigante di ferro e cemento rimane ancora lì, proprio sulla costa ionica, a dieci metri dal mare, inutilizzato ed improduttivo, a fare solo – così com’è oggi - solo da “scoraggiatore” dei turisti. Intanto, Giuseppe Bosco è intenzionato ad andare avanti ad oltranza nella sua protesta e ha fatto sapere, attravesto alcuni suoi compagni di lavoro che stazionano nei pressi dell’ingresso della centrale, di non voler parlare con nessuno se non con l’Arcivescovo di Rossano-Cariati, Mons. Giuseppe Satriano.